Per il costituzionalista “la cabina di regia è una proposta stravagante”. E “Conte è accentratore ma indecisionista”.
Professor Sabino Cassese, l’Italia l’anno prossimo dovrà gestire 209 miliardi di euro del Recovery plan. Una mole di fondi mai avuta a disposizione prima che impone cautele e responsabilità. Quali procedure istitutive e quale “catena di comando” potranno mettere in sicurezza questa straordinaria opportunità?
“In principio sono le funzioni”, scrisse tanti anni fa Massimo Severo Giannini. Quindi, da un lato non c’è una soluzione buona per tutti gli interventi da fare. Dall’altro, bisogna partire da quelli che sono “sul terreno”. Le pare che il tema del fisco possa esser affrontato senza far tesoro dell’esperienza della Agenzia delle entrate? O quello della scuola senza i tecnici del Ministero dell’Istruzione?
Quindi, è importante puntare su chi ha le competenze sul campo. La gestione e l’indirizzo politico però è opportuno che spettino a Palazzo Chigi, tramite la famosa “cabina di regia”, o ai ministeri competenti per le rispettive riforme?
La proposta governativa di una piramide (troika Conte, Gualtieri Patuanelli, Comitato interministeriale degli affari europei, sei tecnici, ciascuno assistito da 50 ulteriori tecnici) è stata definita bizantina. Io la definirei stravagante. Non tiene conto delle esperienze e degli errori del passato (penso agli anni 50-60, a Antonio Giolitti e a Giorgio Ruffolo con il programma economico nazionale). Non tiene conto neppure del presente: lo stesso governo che ha tirato dal cilindro questo coniglio ha presentato con la legge di Bilancio una proposta per affidare la supervisione finanziaria a una apposita direzione generale della Ragioneria generale dello Stato. Nel governo chi fa una cosa legge quello che scrivono gli altri?
Oltre che bizantina e stravagante, questa strategia che accentra molto potere in capo a Palazzo Chigi non rappresenta una distorsione della collegialità del sistema? E perché, secondo lei, le forze di maggioranza non riescono a reagire?
L’accentramento delle decisioni a Palazzo Chigi è una delle caratteristiche di questo governo. Solo che l’accentramento si coniuga solitamente con il decisionismo, mentre in questo caso si coniuga con l’indecisionismo programmatico, che è forma sofisticata di esercizio del potere attraverso la non-decisione e di rinvio delle questioni difficili. Ricorda quello che diceva Luigi XIV: per ogni persona che nomino, mi faccio un amico e cento nemici?
Dal punto di vista operativo prima si devono decidere le strategie di fondo o prima individuare alcuni progetti considerati cruciali per il rilancio del Paese, come è stato per il Ponte Morandi? E a chi spetta la decisione?
Le linee di fondo sono tracciate. Vi sono le linee guida della Commissione europea del 17 settembre 2020. Poi c’è un documento del governo italiano, che si innesta su quello del 9 settembre. Le priorità sono innovazione digitale, transizione ecologica, pubblica amministrazione, fisco, istruzione, ricerca. Conosciamo il nostro tallone d’Achille: l’Italia è quart’ultima nella capacità di spesa dei fondi europei. Le risorse aggiuntive previste dal Piano di ripresa e resilienza prevedono interventi entro il 2026. Invece di far chiacchiere, bisogna aumentare la capacità amministrativa (per chi non sapesse che vuol dire, segnalo un piccolo libro, appena uscito, scritto da Laura Polverari e pubblicato dalla Svimez, sul tema).
Il controllo spetterà al Parlamento o servirà piuttosto un organo ad hoc? Per esempio l’Anac o, sempre in ambito parlamentare, una bicamerale?
Di organi di controllo ne abbiamo troppi. Vanno sfoltiti piuttosto che incrementati. Ci penserà la Ragioneria generale dello Stato. Basta quel corpo di tecnici, che conoscono il mestiere e sanno quel che c’è da fare per fare controlli e non azioni dimostrative per guadagnare popolarità.
Ha senso la proposta avanzata dall’Assonime, l’associazione che raggruppa le società per azioni, di un ministro per il Recovery Fund, individuabile magari nel titolare delle Politiche Europee (senza portafoglio) Amendola?
Dopo aver snellito il governo vogliamo nuovamente gonfiarlo? Se si voleva concentrare tutta la gestione, bisognava seguire il modello De Gasperi (1950) della Cassa del Mezzogiorno, naturalmente esteso su tutto il territorio. Un manipolo di tecnici, specialmente ingegneri, che ha dotato il Sud di Infrastrutture. Giorgio La Malfa l’ha proposto, ricordando l’esempio della Tennessee Valley Authority, al quale ci si era ispirati proprio per istituire la Cassa per il mezzogiorno.
Il rischio di un “decreto ristori” a livello europeo esiste? Come scongiurarlo?
Ristori, a pioggia, talora a beneficio di chi non ne aveva bisogno, sono stati e sono necessari per le esigenze immediate. Ora bisogna pensare al futuro. Non finanziare attività che sono obsolete o a rischio di obsolescenza, ma cerare nuovi posti di lavoro. Aumentare gli investimenti, che consentono di rilanciare davvero l’economia. Non dimentichiamo che il piano si chiama “prossima generazione”, cioè che deve riguardare le future generazioni, assicurare ad esse un patrimonio. I ristori hanno finora posto sulle future generazioni un peso enorme di debiti. Ora, invece, va messo a disposizione delle nuove generazioni un patrimonio di strutture, mezzi, fisici e intellettuali, che consentano un nuovo sviluppo, come quello che è seguito alla seconda guerra mondiale.
Con quali procedure e criteri si potranno nominare ben 300 tecnici in modo trasparente e senza conflitti di interessi? E a chi dovrebbero competere queste nomine?
La formula è tanto inusitata che proporrei di ricorrere al sorteggio tra i membri delle accademie scientifiche italiane.
Restando sul delicato tema della trasparenza, come si potrà garantire che i manager delle partecipate pubbliche non possano in teoria aprire la porta a clientelismi e interessi privati?
La tabella di marcia disegnata dalla Commissione europea è chiara. Partire dagli obiettivi, seguire lo schema di progetto, prevedere tempi finali e per stadi intermedi, arricchire il paese di infrastrutture (ospedali, scuole, strade, linee ferroviarie, centri di ricerca), in modo da assicurare un accumulo di capitali. Poi approvare i progetti, assicurarsi il prefinanziamento del 10%, rispettare gli stati intermedi di avanzamento. Basta leggere l’eccellente documento di Buti e Messori su “Come finalizzare il Piano di ripresa e resilienza”, pubblicato dalla Luiss. L’essenziale è capire che non è il “quanto”, ma il “come” che importa. Non partire dalle risorse da distribuire, ma dai progetti necessari al Paese. Se partiamo dai controlli, invece che dagli obiettivi da raggiungere, ci fermeremo subito. Come ho detto, di organi di controllo ce n’è in abbondanza. Assicuriamoci che controllino, invece di impedire o di usare i loro poteri per andare alla ricerca di una facile popolarità.
Per essere sinceri: non crede che se una simile gestione del Recovery Plan fosse stata avanzata ai tempi del governo di Silvio Berlusconi, oppure oggi dalla Lega di Matteo Salvini, le critiche di un comportamento illiberale sarebbero molto più forti?
Forse non illiberale, certamente antidemocratico. Si sarebbero levati alti lai. Ma va anche tenuto presente che questi sono tempi eccezionali. E che l’opinione pubblica è presa da dilemmi esistenziali del tipo: a Natale posso sedermi al tavolo con mio figlio? Se c’è neve sulle montagne, posso andare a sciare? Che succede se mi colgono per strada senza mascherina?
Federica Fantozzi
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