giovedì, 28 Novembre 2024

Sabino Cassese: “Presidenzialismo? La Carta costituzionale si cambia solo con cautela”

Raffaella De Santis [ la Repubblica ]

Siamo di fronte a un passaggio epocale? Sabino Cassese, grande giurista, ex giudice della Corte costituzionale e professore emerito alla Scuola Normale Superiore di Pisa, il cui nome era stato fatto anche come possibile presidente della Repubblica, non chiude preventivamente le porte alla possibilità di una riforma della Carta costituzionale in senso presidenzialista, ma naturalmente ricorda ciò che fa di una democrazia una democrazia: “Lo spirito è sempre quello ispirato da Montesquieu nell’Esprit des Lois: poteri che bilanciano altri poteri”. Dunque, presidenzialismo sì, ma con le dovute cautele costituzionali.

Non intravede rischi nella proposta di modifica della Costituzione in senso presidenzialista presentata da Fratelli d’Italia?
“Il 4 settembre 1946 la seconda sottocommissione della Commissione per la costituente approvò un ordine del giorno in cui si pronunciava per l’adozione del sistema parlamentare, ma con “dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo”. Quelle esigenze sono ancora vive, perché quell’orientamento non fu poi realizzato. Anzi, oggi vi sono due ulteriori motivi per una stabilizzazione dell’esecutivo. Il primo è quello di ridurre la asimmetria tra regioni, che hanno un sistema presidenziale, e Stato, che ha un sistema parlamentare. Il secondo è quello di ridurre la asimmetria tra i diversi governi nazionali, a livello europeo e globale. Basta ricordare che il presidente francese dura in carica 5 anni e che l’ultima cancelliera tedesca è durata in carica 15 anni. Noi abbiamo avuto 67 governi in 74 anni”.

Il presidenzialismo può essere la risposta a un’esigenza di stabilità? Quale collegamento con le prossime elezioni?
“Le imminenti elezioni di settembre comportano un forte rimescolamento. Fratelli d’Italia quadruplica la sua rappresentanza parlamentare. L’opposto succede al Movimento 5 Stelle. Forza Italia si dimezza. Si afferma una terza forza, quella di Calenda. In più c’è l’imprevedibilità dei risultati: il 40% dell’elettorato o si asterrà dal voto o non sa per chi votare. Infine, la legge elettorale costringe a matrimoni, come le cronache ci confermano, di pura convenienza: spinge le forze politiche ad allearsi per vincere le elezioni, senza tuttavia garantire che possano governare insieme, come dimostrato dal risultato elettorale del 2018, che ha condotto a cinque anni con tre governi diversi, maggioranza diverse, indirizzi politici diversi”.

Si parla di modello francese, crede sia esportabile? Non andrebbe valutata la società italiana nella sua specificità?
“L’import-export di istituzioni è ormai diventato prassi quotidiana. Introdurre una delle tante forme di presidenzialismo in Italia, tra cui quella semipresidenziale di tipo francese, può essere utile per dare una durata al vertice dell’esecutivo”.

Nessun timore?
“Certo, bisogna anche considerare che in Italia il presidenzialismo è visto con preoccupazione per il timore del tiranno, rafforzato dall’affacciarsi di nuove autocrazie, come quella ungherese, quella turca, e in parte quella polacca. Il fatto che queste siano sottoposte al giudizio delle autorità europee e delle loro corti fa ben sperare”.

Sono in molti i costituzionalisti che paventano una deriva autoritaria, lei personalmente che cosa pensa?
“I sistemi presidenziali non sono in sé e per sé la fonte di derive autoritarie. Anzi consentono al popolo di esprimersi due volte, di scegliere i membri delle assemblee parlamentari e di scegliere il presidente. Il problema è di definire con precisione i poteri del presidente eletto direttamente dal popolo e di stabilire quali sono i contropoteri e i condizionamenti costituzionali”.

Zagrebelsky, intervistato selle nostre pagine da Simonetta Fiori, ha evocato il regime di Orbán e il rischio di un presidente che smette di essere “super partes”.
“Senza dubbio la elezione diretta di un presidente della Repubblica comporterebbe un suo ruolo diverso da quello attuale. Non a caso durante i lavori preparatori dell’Assemblea costituente fu attentamente considerata l’ipotesi di un presidente della Repubblica organo collegiale”.

Quando lei parla di “contropoteri” a garanzia della democrazia a che cosa si riferisce?
“Al rispetto della divisione dei poteri, al controllo dei giudici, all’esistenza di una Corte costituzionale, alla possibilità che il Parlamento abbia una maggioranza di colore diverso da quello del presidente, a regioni con maggioranze diverse da quella centrale. Poteri che bilanciano altri poteri, come deve accadere nelle democrazie. Un sistema di checks and balances, per dirlo con un’espressione americana, che si ispira al principio della divisione dei poteri teorizzato da Montesquieu a cui accennavo”.

La ferita del passato fascista non dovrebbe spingerci a maggior cautela?
“Una modificazione in senso presidenziale della Costituzione dovrebbe essere compiuta con la massima cautela, rispettando tutte le garanzie che sono previste nell’articolo 138 della Carta costituzionale”.

Davvero siamo un Paese sensibile più di altri alle suggestioni del capo carismatico o addirittura dell’uomo forte? Leopardi nel “Discorso” sopra i nostri costumi ci vedeva come un popolo privo di società. Ognun per sé.
“Non credo che i cittadini italiani siano tanto immaturi. Temo però la scarsa partecipazione politica, misurata non solo dall’estensione dal voto, ma anche dalle indagini dell’Istat, compensata soltanto dalla ampia partecipazione sociale alla vita della comunità e dal radicamento degli enti locali e delle regioni”.

Nella proposta di legge si dice che il presidenzialismo può essere una risposta ai “riti trasformistici delle maggioranze parlamentari ondivaghe e alla strutturale debolezza di una democrazia lenta e avvitata su se stessa”. Non sono parole preoccupanti?
“Non condivido quel giudizio sulla nostra democrazia che, in 74 anni, è riuscita ad assicurare libertà, a introdurre molte delle istituzioni dello Stato del benessere, a consentire uno sviluppo civile ed economico come in pochi periodi della storia del Regno d’Italia. Non c’è dubbio, tuttavia, che, per fare un solo esempio, la durata media dei governi italiani (un anno e mezzo) porta a continui ricambi di indirizzi politici”.

Il decisionismo sembra rassicurare molti. È un’altra forma di populismo?
“Il decisionismo è buono o cattivo a seconda della qualità delle decisioni che vengono prese. Il decisionismo può sposarsi alla democrazia deliberativa, cioè alla partecipazione dei cittadini alla formazione delle decisioni collettive”.

Raffaella De Santis
[ la Repubblica ]