Stavo rileggendo un paio di giorni fa Il libro dell’ inquietudine di Fernando Pessoa. È uno dei capolavori di questo agitato periodo della modernità, con il passo che mi ha più colpito ed è la creazione di se stesso attraverso il personaggio a cui dà il nome di Bernardo Soares.
Che Bernardo sia Fernando non è nell’ intuizione d’ un lettore avveduto ma una dichiarazione dello stesso autore: Bernardo Soares sono io. Questa tecnica letteraria ha ispirato questo mio articolo che è alquanto diverso dal solito: è un’ intervista a me stesso.
Quando diressi l’ Espresso e quando diressi Repubblica ho fatto moltissime interviste. Non le ho contate ma saranno un po’ più di un centinaio, a personaggi illustri in vari campi: politici, economisti, capi di governo, ed anche letterati di alta fama.
Ma nessun giornalista ha intervistato a fondo me. Me l’ hanno chiesto più volte, ma io ho risposto negativamente.
Dunque un’ intervista a me stesso che rivelerà il mio pensiero con le relative spiegazioni e motivazioni.
Debbo anch’ io dare un finto nome che rappresenti me e faccia le domande che io desidero man mano che le sento nascere dentro di me senza alcuna coerenza formale.
Del resto pensare il proprio pensiero è un esercizio indefinibile, mi ricorda il motto di Diderot che una volta, affrontando questo tema disse: « Mes pensées, ce sont mes catins» che significa «i miei pensieri vanno e vengono come le puttane».
Se leggerete Diderot, grazie. Il mio me stesso che mi farà le domande lo chiamo Zurlino. Mi pare appropriato.
Zurlino: Qual è stata la scuola che rievochi con maggiore interesse?
Eugenio: Il liceo di Sanremo.
Z: Perché?
E: Lì incontrai Italo Calvino e cominciò un’ amicizia che durò cinque anni e poi riprese negli ultimi tre anni, fino alla sua prematura morte.
Z: Di che cosa parlavate?
E: Di letteratura, di poetica e di fisica teorica. Della vita e anche della morte. Non avevamo alcuna credenza religiosa, ma spesso parlavamo anche di Dio.
Z: Non credenti che parlano di Dio? È strano.
E: Infatti è strano. Parlavamo di Dio per tentar di capire la natura di chi ha fede in Lui e in che modo quella fede influisce sulla loro vita. In realtà, salvo rari casi, non ha molta influenza. I peccati sono perdonati e dopo il perdono di solito si pecca nuovamente. Da questo punto di vista la fede in Dio rappresenta molto poco, almeno in pratica, salvo il pentimento che arriva quando si sta morendo. Allora il perdono è estremamente importante per l’ ammalato. Spesso lo fa perché sente veramente la necessità di pentirsi ma altrettanto spesso lo fa per evitare di finire all’ Inferno e conquistare con quel pentimento la presenza della sua anima in Purgatorio.
Z: E sarà così?
E: Il tema non mi riguarda. Riguarda chi ha fede nell’ aldilà ma io sono non credente. Mi pento anch’ io di alcune cose che ho fatto o per errore o perché mi piaceva farle. A volte mi pento anch’ io per aver sbagliato con azioni non corrette.
Z: Ti piacciono le donne? Sessualmente e anche sentimentalmente parlando.
E: Mi piacciono. Non necessariamente per amore. Del resto il desiderio ce l’ hanno tutti e due, e a volte culmina con un amore ma di solito passeggero quando non è definitivo e allora dura per tutta la vita nella maggioranza dei casi. Del resto l’ amore è un sentimento molto più profondo del desiderio o almeno così sembra salvo che non c’ è amore se non c’ è desiderio e questo non dobbiamo scordarlo.
Z: Gli dèi dell’ Olimpo fanno parte della tua cultura. Quali sono quelli che più ti piacciono?
E: Mi piace soprattutto Eros, che non è uno degli dèi olimpici, è venuto molto prima di loro ed è il dio dei desideri, li suscita negli uomini ma anche negli dèi olimpici. Tra questi ultimi le mie preferenze vanno ad Apollo e a Dioniso. E Athena.
Z: Afrodite ti piace?
E: Non molto.
Z: E Persefone?
E: Per niente.
Z: Ora vorrei sapere quali sono le preferenze nella scelta delle città che hai frequentato più volte e vorrei che me le enumerassi tenendo presente la loro importanza e il peso che hanno suscitato su di te.
E: Al primo posto c’ è Parigi. Poi Roma, Milano, Firenze, Venezia, Torino, Civitavecchia dove sono nato, Londra, Basilea, Boston, Bruges, Fez.
Z: Ami la tua famiglia?
E: Moltissimo. Ho avuto due mogli, due figlie e un giovane nipote. Ma ho considerato come familiari alcuni amici intimi.
Z: Puoi fare qualche nome?
E: Preferisco di no, anche perché considero come familiari, sia pure con diversa intensità, tutti quelli che hanno lavorato e lavorano per me, a cominciare dalle segretarie del giornale, il mio autista e collaboratore, gli autisti e commessi. Parlo di quelli che hanno almeno 10 anni di anzianità. Non parliamo della redazione e soprattutto di quelli che hanno lavorato con me e molti lavorano ancora.
Z: Da che cosa dipende questo familismo così esteso?
E: Credo dipenda da me, è una mia componente paternale.
La mia vita affettiva dipende soprattutto dal mio sentimento di sentirmi padre e adesso forse nonno, di tutte le persone alle quali voglio bene e che mi ricambiano. Mi sentivo padre anche con i miei genitori quando loro erano ancora giovani e io bambino. Facevo quello che loro volevano per me e in questo modo riuscivo ad essere io a guidarli lasciandoli perfettamente soddisfatti.
Z: Quindi hai molto amore anche per te stesso. Ma questo è male. Ci sono persone che hanno un amore per se stesse di dimensioni assai elevate. Che cosa pensi tu di te stesso da questo punto di vista? Complesso edipico? O narcisista?
E: Edipo per me non è mai esistito. Ho amato entrambi i miei genitori nella stessa misura, sia pure in modi diversi.
Mia madre era romantica. Suonava al pianoforte vecchie canzoni dell’ epoca, anni Venti del Novecento. Le ho amate anch’ io che le ascoltavo per suo desiderio seduto su uno sgabello accanto al pianoforte. Le cantavo fra me e me ma molto più tardi le cominciai a suonare anch’ io al pianoforte e lo faccio ancora quando ho voglia di ricordare il passato attraverso quelle canzoni. Ma poi ho amato il jazz quello classico che cominciò a New Orleans e poi si spostò a New York. Armstrong, Duke Ellington, Fitzgerald, Billie Holiday e le orchestre degli anni Venti fino ai Beatles. Quella fu l’ ultima fase di un jazz che durò una settantina d’ anni e per quanto mi riguarda dura tuttora.
Z: E il rock?
E: Per me non esiste. È solo ritmo senza alcuna melodia.
Nella vera musica jazz c’ è il ritmo, volume del suono, melodia. È musica, una parte della grande musica. Ma poi c’ è una musica completamente diversa e di grande e più elevata importanza, operistica e sinfonica. I grandi di questa Musica sono a volte compositori, a volte direttori d’ orchestra, cantanti e specialisti di vari strumenti detti appunto ” solisti” e voci di diverso volume femminile e maschile. Ognuna di queste figure compone la grande Musica e naturalmente con essi e anzi prima di essi ci sono compositori dei testi musicali, Rossini, Donizetti, Verdi, Puccini, Bellini.
Z: Quali sono le opere che ti piacciono?
E: La Traviata è quella che mi piace più di tutte e subito dopo La Bohème, il Don Giovanni di Mozart, Il barbiere di Siviglia. Della musica sinfonica adoro Bach, il Requiem di Mozart, e le sue composizioni che si inventava quando si sedeva dinanzi al pianoforte. Ma poi c’ è Beethoven che è il tutto di tutto, sonate, sinfonie, in particolare la Terza, la Quinta e soprattutto la Settima e il suo secondo tempo che vorrei fosse suonato al mio funerale. Per un lungo periodo iniziale la Musica ebbe marca italiana ma ben presto passò in Austria, in Germania, in Francia e infine in America ma di questo tipo di musica l’ America fu più o meno una succursale, autori di calibro che si ebbero in Europa l’ America non ebbe quasi nessuno.
Z: Mi pare che ti sia scordato di Wagner.
E: Non amo Wagner. Semmai mi piace Brahms e tanti altri nomi di direttori, compositori, solisti eccetera.
Z: E Renzi?
E: Che c’ entra adesso Renzi? Sebbene tu, caro Zurlino, non hai tutti i torti: Renzi è un autore e un attore della sua musica politica.
Z: Vedo che hai chiamato musica la politica. Che intendi tu parlando di musica politica?
E: Secondo me il suono delle parole resta dentro di noi. Secondo me la parola musica va trasformata in altre due: la danza e la poetica. Spesso anche la politica è danzante. Poetica mai, salvo rarissime occasioni.
Z: Me ne dici qualcuna di quelle occasioni?
E: Mi viene in mente il nome di Garibaldi. Quello di Mazzini. Forse Machiavelli, almeno quando scrisse la famosa lettera a Vettori. Lorenzo il Magnifico soprattutto.
Z: E quindi torniamo a Renzi. Mi vuoi dire che cosa pensi di lui?
E: Renzi vuole molto bene a se stesso. Ma questo è normale, lo predica addirittura la Chiesa quando dice ” Ama il prossimo tuo come te stesso”. L’ amore per se stesso è una inevitabile premessa che realizza la presenza dell’ individuo senza la quale il mondo intero scomparirebbe. L’ individuo è protagonista e tutto quello che viene dopo di lui e cioè l’ amore per il prossimo non si potrebbe verificare senza la presenza individuale. Qui però si pone un problema: qual è il prossimo? Per un privato cittadino il prossimo è la propria famiglia e questa è la maggioranza delle persone ovunque vivano e lavorino. Non è così per un partito politico che ha bisogno di un leader la cui attività preveda una classe dirigente, una sorta di Stato Maggiore che discuta con lui la strategia di quel partito e la metta in opera. A favore di chi? Del suo popolo. E qual è il suo popolo? Quello che simpatizza o addirittura si identifica con valori e ideali per realizzare i quali è nato quel partito.
Nel caso di Renzi il popolo è socialdemocratico o liberal-democratico, il popolo che si riconosceva in quei valori esisteva già prima che Renzi arrivasse, ma ora anche lui è identificato con quei valori. Purtroppo lui ha un problema psicologico. Non lo dice anzi lo nega ma noi osservatori ne siamo certamente consapevoli: a lui piace comandare da solo. In politica questo malanno è molto diffuso. Personalmente penso che in un partito c’ è, ci deve essere, la classe dirigente senza la quale quel popolo si sente tradito e abbandona in massa quel partito se non riesce a cacciar via quel Capo dei capi.
Negli ultimi tempi però Renzi sembrerebbe aver preso coscienza che debba esistere la classe dirigente altrimenti il partito lo caccerà o lo abbandonerà. Sembrerebbe che in queste ultime settimane Renzi si sia messo sul giusto terreno e abbia cominciato ad ascoltare persone come Prodi, Veltroni, Minniti, Fassino, Delrio, Martina, Franceschini, Orlando e molti altri, anche sindaci di città importanti o governatori delle Regioni che provengano dal Partito democratico. Ma soprattutto Gentiloni che è l’ attuale Capo del governo. Spero che questa fase duri sempre con l’ apporto di quello Stato Maggiore di cui ho fatto qualche nome. Questa dovrebbe essere la strategia stabile d’ un partito. In Italia non è affatto questa. Ci sono capi assoluti quasi dovunque, da Salvini a Berlusconi ai Cinque Stelle, ma i loro partiti non hanno bisogno di democrazia: sono populisti e questo è un guaio per loro e per tutto il mondo occidentale perché il fenomeno del populismo è diffuso a piene mani.
Z: A questo punto vorrei farti un’ ultima domanda: chi sono i grandi poeti che tu conosci e che più degli altri ti piacciono.
E: In ordine di tempo direi Eraclito, Omero, Saffo, Dante, Petrarca, Shakespeare, Cervantes, Keats, Valéry, Rilke. Ho omesso il nome di Pessoa ma è quello che ha aperto, non a caso, la nostra conversazione della quale, caro Zurlino, ti ringrazio e cioè ringrazio me stesso e i lettori che hanno avuto la buona grazia di seguirmi.