E se scoprissimo che, sotto sotto, è il Sud d’Italia il principale traino del ricco Nord? Ma come? Il Sud additato come sprecone e bistrattato per la sua dipendenza dai trasferimenti del Nord? Sì, proprio il Sud. E’ quanto emergerà a novembre nel Rapporto Svimez 2018 di cui disponiamo di anticipazioni.
Dal Rapporto verrà fuori come in fondo la crescita del Nord dipenda fortemente anche dal Sud e che il Meridione vale molto di più di quanto si possa immaginare. Perché la ricca domanda interna del Meridione d’Italia, stando all’analisi Svimez, attiva circa il 14% del PIL del Centro Nord. In pratica, secondo il direttore di Svimez Luca Bianchi, la domanda espressa dai consumatori meridionali per beni di consumo e di investimento ha dato luogo ad una produzione del Centro-Nord pari a 177 miliardi di euro.
Una cifra incredibile pari a metà del valore dell’export del Centro Nord, pari a metà della ricchezza che la domanda estera attiva nel Centro Nord che, come tutti sanno, ha per l’export una vera vocazione.
Ancora. I referendum autonomistici in Veneto e Lombardia hanno posto come un problema quello dei massicci residui fiscali che, dal Nord, prendono rotta verso il Sud. Ebbene, anche su questo il rapporto Svimez prevederà delle sorprese. Perché dimostrerà, dati alla mano, che di quei finanziamenti così contestati al Sud, ben 20 miliardi ritornano al Centro Nord. In pratica – leggeremo nel Rapporto Svimez- per ogni dieci euro che dal Centro Nord affluiscono al Sud come residui fiscali, 4 fanno il percorso inverso immediatamente sotto forma di domanda di beni.
Quindi l’integrazione Nord Sud non è composta soltanto di trasferimenti di risorse pubbliche da Nord a Sud, ma anche di corposi flussi di risorse che dal Sud fanno rotta verso il Nord. E’ integrazione, non dipendenza del Sud dal Nord. E’ interdipendenza mutualmente benefica. Perché il Mezzogiorno d’Italia è un primario mercato di sbocco dell’industria settentrionale. Perché il risparmio meridionale è impiegato per finanziare investimenti meno rischiosi e più redditizi nel Centro Nord. E infine perché l’emigrazione di giovani, studenti o lavoratori, spesso anche di cervelli in fuga, alimenta l’accumulazione di preziose risorse umane che creano ricchezza nelle regioni settentrionali.
E’ questo il motivo per cui, se guardiamo i dati Svimez sui tassi di crescita del PIL tra il 2000 ed il 2016, ci accorgiamo che Centro Nord e Mezzogiorno crescono o arretrano insieme.
In questa luce, dal rapporto Svimez di novembre verrà fuori una proposta: perché non puntare in particolare al Sud per stimolare la crescita del Paese? La convinzione è che la soluzione ai problemi italiani non verrà dalla ripresa internazionale ma dalla capacità di innescare investimenti pubblici a partire dal Sud. Gli investimenti pubblici, soprattutto in infrastrutture utili, hanno una elevata capacità di generare reddito rispetto all’entità dell’intervento iniziale. Un solo euro aggiuntivo di investimenti pubblici produce un incremento di reddito pari a 1,37 euro. E l’effetto cumulativo misurato a 5 anni di distanza dall’investimento iniziale dà luogo ad un incremento pari a quasi il doppio.
Nel volume “Nord Sud: Italiani a confronto” di Cristina Palumbo (edito da Rubbettino), leggiamo che l’esempio più visibile della “questione meridionale” è proprio il gap infrastrutturale tra Nord e Sud che è “portato di incuria e cattiva gestione politica, di scarsa attitudine alla progettazione , di miopia strategica”. Investire nel Sud fa quindi bene al Sud, ma fa bene anche al Nord ed è soprattutto una questione di giustizia.