L’Italia ha incassato un pareggio tattico dal lungo negoziato per le nomine apicali dell’Unione Europea, barattando il sostegno all’ascesa di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea con lo stop alla procedura d’infrazione per l’anno in corso. Tuttavia, sul lungo periodo, difficilmente si può parlare di un successo strategico e politico per il nostro Paese. Roma, infatti, si è trovata a rifiutare tutti i ticket precostituiti che puntavano verso la presenza di un candidato esterno al Partito Popolare Europeo e, al contempo, l’ascesa di un “superfalco” alla Banca centrale europea, come il tedesco Weidmann o il finlandese Rehn.
Ma, al contempo, l’Italia non ha potuto incidere nella scelta delle cariche apicali della ventura Unione. L’asse franco-tedesco allargato a compagine “carolingia” (con Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Lussemburgo) e esteso in Spagna (Paese che ottiene l’importante casella della Pesc) occupa le caselle apicali e con Ursula von der Leyen e Christine Lagarde porta alle posizioni di massima responsabilità due donne che, negli anni a venire, potrebbero dare notevole filo da torcere al nostro Paese.
Le custodi dell’austerità
A vincere è la logica dell’austerità, nella sua massima ortodossia tedesca o nella temprata versione di una Francia che, per ragioni geopolitiche e strategiche, ad essa sa di poter in un modo o nell’altro scampare, nonostante i deboli fondamentali economici. Da un lato la von der Leyen, falco tra i falchi nel governo pro-austerità di Angela Merkel che dal 2010 in avanti fu capofila della punitiva condotta adottata verso la Grecia, dall’altra la Lagarde,direttrice del Fondo monetario internazionale che a questa condotta dette concreta applicazione e che appare mancante della dose di lungimiranza e acume strategico di cui nei suoi otto anni all’Eurotower Mario Draghi, nonostante tutti i limiti della sua azione, ha dimostrato di non difettare.
La condotta della von der Leyen e della Lagarde sulla Grecia toglie ogni dubbio sulle preferenze politico-economiche delle donne che, negli anni a venire, avranno sotto la lente d’ingrandimento i conti, le manovre economiche e le scelte politiche dei Paesi europei, prima fra tutti l’Italia. Il ministro della Difesa uscente del governo Merkel chiese che i salvataggi europei fossero garantiti da oro o da partecipazioni industriali, mentre della Lagarde si ricorda il cinismo dimostrato nel 2012, quando rifiutò di allentare la morsa dell’austerità richiesta ad Atene: “Ho più simpatia per i bambini africani che per i figli degli evasori. Pagate le tasse per il bene dei vostri figli”, si appellò ai cittadini greci, accusati di poca compliance con il loro erario, quattro anni prima di esprimere in diversi interventi pubblici un tardivo e poco sincero pentimento per la condotta tenuta.
“L’Italia”, nelle prospettive di lungo periodo, “esce malissimo da questa tornata di nomine europee non solo perché non ha influenzato la decisione finale che ha dimostrato ancora un’Europa franco-tedesca, ma perché si trova con una presidente della Commissione europea decisamente pro-austerity e con un Presidente della Bce che si presume salvaguarderà gli interessi francesi”, sottolinea Paolo Annoni su Il Sussidiario.
“L’austerity è il mezzo con cui, in un’Europa che ha un’applicazione delle regole asimmetrica, si drenano risorse dalla periferia al centro “carolingio” e che ha trasformato la periferia in una colonia di fatto come si vede chiaramente dalle nomine, ma ancora di più dal modo in cui sono arrivate. È un’Europa degli stati in cui le istituzioni europee e l’applicazione discrezionale delle regole sono un mezzo per fare la guerra a chi è rimasto fuori”. Più che l’Italia, in grado di condizionare le azioni del Consiglio Europeo e le conseguenti nomine sono stati i Paesi del Gruppo Visegrad, prima fra tutti l’Ungheria di Viktor Orban, di cui si è dimostrata una volta di più l’abissale distanza dal nostro Paese nella cura dei rispettivi interessi nazionali.
Ma l’austerità fa comodo anche a Orban
Il leader di Fidesz e Visegrad sono, sotto traccia, tra i vincitori della contesa per le nomine. Per una triplice serie di motivi. In primo luogo, perché è stato il compattamento dei Paesi dell’Est a far cadere la strategia della Merkel per avere l’olandese Timmermans a capo della Commissione, dimostrando la coesione del gruppo come struttura degna di considerazione per il dialogo.
In secondo luogo perché il proseguimento della stagione dell’austerità è nell’interesse dei Paesi di Visegrad (Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia), a cui per ragioni geoeconomiche e per la diversa statura demografica si sottrae, in parte la Polonia. Nello scorso novembre Orban è stato tra leader più insistenti nel chiedere all’Italia una riduzione del deficit della manovra finanziaria.
Sotto il profilo geoeconomico Visegrad è divenuta un’appendice della Germania, Paese alla cui catena del valore è saldamente ancorata l’industria manifatturiera dei quattro Paesi. “La delocalizzazione produttiva tedesca in questi Paesi ha assunto in effetti negli anni connotati simili a quelli dello stabilimento delle maquilladoras statunitensi in Messico”, ha scritto Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano, sul numero di Formiche di dicembre 2018.
Infine, Visegrad beneficia della solidarietà atlanticadelle due donne nominate ai vertici del potere comunitario e il loro condizionamento decisivo esercitato nei confronti del duo Merkel-Macron sarà letto come una notizia positiva a Washington. Dopo la fine della Guerra fredda lo spazio est europeo venne concesso dagli Usa alla Germania riunificata come area di espansione economico-industriale. Ma il suo ruolo geopolitico è sempre stato lo stesso: cuscinetto tra Germania e Russia e ostacolo ad una reale unificazione europea. Ciò è ancora più evidente oggi: visto che gli Usa non possono più tollerare il surplus commerciale tedesco hanno richiamato all’ordine i Paesi alleati in Est Europa sostenendone la graduale acquisizione di influenza.
Chiunque vorrà trattare per il potere in Europa dovrà necessariamente tenere conto dei valori propugnati dall’Europa centrale, dall’Europa di Visegrad. Lo stesso non si può dire, purtroppo per noi, dell’Italia. Che ora dovrà giocare bene le sue carte in politica economica e diplomazia per evitare di pagare dazio da un ritorno in forza della stagione dell’austerity.