Il collegamento tra salute del pianeta e salute dell’uomo è stato messo più volte in evidenza in questi ultimi anni. Poi è arrivato il Covid-19 e quelle che sembravano solo ipotesi sono diventate solide evidenze.
L’Ipbes, Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, la piattaforma dell’Onu che si occupa di biodiversità ed ecosistemi ha deciso dunque di intervenire organizzando un workshop al quale hanno partecipato 22 esperti tra zoologi, medici, economisti di tutto il mondo, alla fine del quale è stato presentato il rapporto Escaping the Era of Pandemics, ovvero fuga dall’era della pandemia.
E’ indubbio che stiamo attraversando una nuova epoca che potremmo chiamare Pandemiocene, la giusta continuazione dell’Antropocene. Gli studiosi hanno infatti analizzato la situazione attuale nei dettagli basandosi su oltre 600 ricerche scientifiche fin qui pubblicate, e hanno concluso che se la distruzione del Pianeta non si fermerà, inevitabilmente nuove patologie arriveranno sempre più spesso, circoleranno più rapidamente, uccideranno più persone e avranno un devastante effetto sull’economia globale.
Dopo l’influenza spagnola del 1918, il Covid-19 è la sesta pandemia. Tutte, ma anche il 70 per cento delle malattie in generale, come Ebola, Zika, Aids, l’influenza aviaria, sono derivate dagli animali.
Sono causate dal fatto che aree che ospitavano la vita selvatica sono state ripulite per far posto ad agricoltura e allevamenti, oppure dal commercio di specie selvatiche che porta le persone a contatto stretto con microganismi pericolosi.
Gli effetti sono poi esponenziale a causa dell’aumento dei contatti, dei consumi e delle transazioni spinti dalla domanda di popolazioni sempre crescenti nei paesi emergenti.
La stima effettuata è che mammiferi e uccelli possano ospitare più di 1,7 milioni di virus, di cui oltre 850 mila hanno la potenzialità di infettare l’uomo, se solo si avvicina troppo.
I ricercatori fanno anche notare che in realtà abbiamo già a disposizione tutte le competenze scientifiche che servirebbero per proteggerci, se solo cambiassimo radicalmente il nostro rapporto con la natura. In teoria siamo oramai in grado di prevenire le pandemie, e lo avremmo potuto fare anche per il Covid-19. Le strategie che stiamo usando in questa occasione sembrano però dimenticarlo. Stiamo infatti cercando di contenere il disturbo dopo che ha già raggiunto livelli pericolosi, attraverso provvedimenti che arrivano in ritardo, medicine e forse vaccini.
La fuga a cui si riferisce il titolo dello studio, richiede invece attenzione nel campo della prevenzione, non in quello della reazione. Il che permetterebbe anche un considerevole risparmio di soldi.
Il fatto che l’uomo sia così abile nel trasformare il suo ambiente potrebbe non essere negativo, sostengono gli autori del rapporto. Potrebbe significare che siamo potenzialmente capaci di indirizzare gli sforzi per modificare quello che provoca danni, e contemporaneamente imparare a ridurre il cambiamento climatico. Ci sono già degli studi pilota che dimostrano che i mezzi che abbiamo a disposizione funzionano. Devono solo essere riportati su scala globale ed essere tenuti in conto dalla politica. Se sembrano costosi e difficili da realizzare, va tenuto conto che il loro prezzo, circa 50 miliardi di dollari all’anno, è poca cosa in confronto all’impatto del Covid-19, ovvero oltre mille miliardi di dollari.
Le stesse attività che portano al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità, facilitano le condizioni perché si sviluppino le pandemie. Modificare il modo in cui viene usata la terra, ridurre l’espansione dell’agricoltura intensiva, conservare le aree naturali, sono strumenti fondamentali per uscire dalla situazione in cui ci troviamo.
Il 30 per cento di nuove infezioni possono essere infatti attribuite all’espansione agricola, al cambio di uso della terra, all’urbanizzazione. Tre quarti della superficie del Pianeta hanno subito gli effetti delle attività umane. Il commercio di animali selvatici, un settore non secondario dato che ha un valore di 100 miliardi di dollari, dovrebbe essere vietato in particolare per quanto riguarda pipistrelli, roditori, primati e uccelli d’acqua. Anche il consumo di carne può avere effetto e l’Ipbes propone una tassazione.
L’approccio che stiamo seguendo in questo momento, quello del contenimento, rischia di essere fallimentare. E’ necessario quindi andare alla radice del problema. L’Ipbes dunque chiede che venga realizzato un consiglio intergovernativo per la prevenzione, che possa proporre una sorta di Accordo di Parigi, quello per la limitazione del riscaldamento, volto alla riduzione delle malattie. Dovrebbe predire le aree a rischio più elevato e coordinare un sistema di sorveglianza globale, valutare i costi, promuovere nuove ricerche e, soprattutto, permettere a chi poi deve decidere di procedere su solide basi scientifiche.
Mariella Bussolati
[ BUSINESS INSIDER ITALIA ]