Nonostante le ragioni che tuttora fanno pensare a una capacità di durata degli attuali governanti, ce ne sono altre per ipotizzare il contrario
Erano due le domande che gli osservatori della vita pubblica si ponevano sui giallo-verdi (con particolare riguardo ai 5 Stelle, al gruppo che il 5 marzo scorso avrebbe conquistato la maggioranza relativa) nei mesi precedenti le elezioni politiche e nei mesi immediatamente seguenti. La prima domanda era: i movimenti anti-sistema «si mangeranno» il sistema o, quanto meno, cercheranno di cambiarlo da cima a fondo, oppure i vincoli interni e internazionali li obbligheranno a perdere l’ originaria carica rivoluzionaria e le loro eventuali innovazioni dovranno essere comunque compatibili con le esigenze di una democrazia parlamentare, dell’economia di mercato, dell’appartenenza all’Europa e al mondo occidentale? La seconda domanda era: dureranno o non dureranno? Saranno capaci di imporre una egemonia tale per cui potranno rimanere alla guida del Paese per decenni, oppure perderanno rapidamente il potere e, al limite, si squaglieranno come neve al sole, quando si troveranno a fare i conti con la complessità del mondo che li circonda?
La prima domanda poteva essere così riformulata: questi movimenti anti-sistema subiranno una evoluzione simile a quella che subirono nell’Ottocento i partiti socialisti europei (i quali nacquero come partiti anti-sistema ma poi si adattarono alle esigenze delle democrazie liberali di mercato) oppure si comporteranno come i fascisti e i comunisti che quell’adattamento sempre rifiutarono?
Alcuni (come chi scrive), assumendo che la storia non sia acqua, pensarono che quell’integrazione non ci sarebbe stata. Se il tuo mito fondante, la tua «ragione sociale», la tua carta di identità, sono legati ai vaffa days , se sei nato chiamando a raccolta tutti coloro che si ritenevano frustrati e oppressi dalle «caste», tutti quelli che «piove governo ladro», tutti quelli che «uno vale uno», tutti quelli che «qui sono tutti corrotti», tutti quelli che «siamo vittime dei complotti» (della finanza internazionale, dell’America, di qualunque Barbablu), tutti quelli che «il potere deve passare al popolo» (casto, innocente e puro), poi non ti puoi adattare alle esigenze del parlamentarismo e del mercato. Ai vaffa days (e connesso mito fondante), insomma, non puoi rinunciare. Non era plausibile che bastasse candidare Di Maio anziché Di Battista per trasformare un partito anti-sistema in un movimento «riformista» (niente meno).
La natura della manovra finanziaria e il conseguente scontro con l’Europa dicono su quelle illusioni tutto ciò che c’è da dire.La seconda domanda riguardava la capacità di durata. In questo caso anche chi scrive (Corriere, 27 luglio scorso) pensava che fossero elevate le probabilità che essi durassero. Per tre ragioni. Perché la loro vittoria non era figlia del caso. Era stata preparata da un trentennio (dai tempi di Mani Pulite ) di messaggi — alimentati dal circo mediatico-giudiziario — sulla corruzione generalizzata, sul parassitismo e il sovversivismo delle classi dirigenti, sulla furfanteria di chiunque avesse successo in una qualsivoglia professione. Ed era stata preparata, inoltre, dalla grande dispersione/distruzione di capitale umano connessa all’abbassamento degli standard educativi, alla progressiva perdita di importanza — almeno in certe zone del Paese — del merito, dello studio, della preparazione, del talento, nelle promozioni scolastiche e nelle acquisizioni di diplomi.
La seconda ragione aveva a che fare con la capacità degli anti-sistema di trovare capri espiatori su cui rovesciare le colpe dei propri futuri insuccessi: «Non siamo noi incapaci di governare, sono le forze malvagie che ci avversano ad impedire il “cambiamento”. Se non fosse per l’azione di quelle forze malvagie noi potremmo soddisfare facilmente il diritto del popolo ad essere felice. Noi siamo persino capaci di abolire la povertà per decreto».
La terza ragione aveva a che fare con la probabile, rapida, costruzione di un sistema di clientele i cui vantaggi e privilegi (piccoli e grandi) sarebbero dipesi dalla durata del governo. Per le suddette ragioni si poteva pensare che i nuovi potenti sarebbero rimasti tali a lungo. E questo nonostante le molte contraddizioni (secondarie) fra l’attuale partito di maggioranza relativa (i 5 Stelle) e il partito che aspira a diventarlo in un prossimo futuro (la Lega) e che, se si dà retta ai sondaggi e alle opinioni prevalenti, forse presto lo diventerà.
Ma, nonostante le ragioni che tuttora fanno pensare a una lunga capacità di durata degli attuali governanti, ce ne sono altre che fanno ipotizzare il contrario. La più importante causa della debolezza del governo in carica, il suo vero tallone d’Achille, risiede nel totale isolamento in Europa. Forse i rapporti con Trump e Putin non bastano, non sono un ancoraggio internazionale sufficiente, non serviranno a tenere a galla ancora a lungo il governo Conte. Avere contro, compatta, l’Europa intera (sovranisti inclusi) potrebbe comportare, forse anche in tempi ravvicinati, la fine dell’esperimento giallo-verde. Nessun altro governo, va detto, è mai stato altrettanto isolato. Ad esempio, non si è mai davvero spezzato il legame fra l’Ungheria e la Germania, fra Orbán e Merkel. Solo noi siamo stati capaci di metterceli tutti contro.
Può un governo totalmente isolato in Europa reggere a lungo? Per durare, o sperare di durare, dovrebbe essere pronto a fare passi gravi e drastici (che porterebbero però mezza Italia, quella produttiva, a ribellarsi). Dovrebbe essere pronto a spezzare i legami con l’Europa, con tutte le conseguenze economiche, sociali e politiche del caso. Persino per gli attuali governanti, questo sembra essere un azzardo davvero eccessivo.
Se la risposta alla prima domanda (gli anti-sistema diventeranno agnellini) è sicuramente negativa, la risposta alla seconda (dureranno?) deve ancora attendere un po’. Tutto si gioca, proprio in questo momento, in Europa.