Il nuovo coronavirus si sta diffondendo in molti paesi. Nel Regno Unito sono stati confermati nove casi di contagio. Il resto del mondo è pronto per il coronavirus? La risposta, in breve, è “no”.
“Sono convintissima che nessun paese sia adeguatamente preparato”, sottolinea Jennifer Nuzzo della John Hopkins Bloomberg School of Public Health, in Maryland.
Le epidemie di malattie gravi presentano serie minacce. Oltre all’impatto diretto in termini di contagi e vittime, bisogna tenere conto delle persone affette da altre malattie che subiscono le conseguenze di un sovraffollamento del servizio sanitario. Per esempio, durante l’ultima epidemia di ebola in Africa occidentale, le vaccinazioni sono state interrotte, e questo ha portato alla morte di bambini affetti da altre malattie.
Infine c’è l’impatto economico che deriva dalle limitazioni degli spostamenti e dalla chiusura delle attività commerciali.
Nuzzo è tra gli autori del Global Health Security Index, una classifica che assegna ai paesi un punteggio fino a 100 in base alla capacità di gestire questo tipo di minacce. Nel 2019 il punteggio medio è stato di appena 40 punti. La Cina si è fermata a 48. Stati Uniti, Regno Unito, Paesi Bassi, Australia e Canada figurano in cima alla lista, con un punteggio compreso tra 84 e 75. Tuttavia anche questi paesi incontrerebbero serie difficoltà se il coronavirus diventasse una pandemia e si diffondesse globalmente, per quanto la mortalità non sia particolarmente alta. Per ora, l’obiettivo principale è evitare che il virus si diffonda.
Finché i casi registrati lontano dalla Cina aumenteranno con il contagocce, i paesi ricchi saranno nelle condizioni di affrontare il problema. Ma molti stati più poveri non hanno nemmeno la possibilità di diagnosticare il virus.
Gli ospedali negli Stati Uniti e nel Regno Unito stanno preparando strutture per l’isolamento dei pazienti. Il 10 febbraio il governo britannico ha dichiarato il virus una minaccia imminente. Dunque le autorità potranno mettere chiunque in quarantena senza il suo consenso.
In questo momento esiste tuttavia il timore che alcuni governi non stiano stanziando abbastanza fondi e non stiano formando adeguatamente il personale sanitario. “In sostanza non stanno prendendo sul serio la situazione”, ha scritto la settimana scorsa su Twitter il senatore statunitense Chris Murphy dopo aver partecipato a una riunione del governo.
Isolare i malati in ospedale e rintracciare le persone con cui sono entrati in contatto è un approccio che funziona soltanto se i numeri restano contenuti. Se invece si verificasse un aumento dei contagi non avrebbe senso riempire gli ospedali con malati lievi che non hanno bisogno di cure. A quel punto la strategia dovrebbe essere quella di chiedere alle persone con sintomi moderati di autoisolarsi in casa, concentrandosi sui malati più gravi.
“In quel caso saremmo in una situazione epidemica”, spiega Mark Woolhouse, dell’università di Edimburgo. “Non saremmo in grado di controllarla, saremmo costretti ad aspettare che il decorso naturale del virus”.
le misure drastiche prese dalla Cina per contenere il virus provocheranno enormi danni
Paul Hunter, dell’Università di East Anglia, nel Regno Unito, pensa che una pandemia di coronavirus non sarebbe peggiore della pandemia di febbre suina H1N1 del 2009. All’epoca gli sforzi per contenere l’epidemia dopo i primi casi in Messico furono inutili e il virus si diffuse a livello globale, contagiando un quarto della popolazione e uccidendo fino a 500mila persone, con una mortalità di circa lo 0,2 per cento. Nuzzo ritiene plausibile lo scenario in cui un’epidemia di coronavirus potrebbe essere simile a quella di febbre suina, ma sottolinea che gli Stati Uniti sarebbero comunque in difficoltà nella gestione del virus.
Al contempo esistono motivi per pensare che un’epidemia di coronavirus potrebbe essere peggiore della pandemia del 2009. Attualmente sembra che i contagiati trasferiscano il virus in media a un numero di persone compreso tra due e quattro, contro le 1,5 delle febbre suina, sottolinea Woolhouse. Inoltre non esiste un’immunità preesistente al coronavirus, mentre nel caso dell’H1N1 alcuni anziani erano immuni.
Woolhouse non è convinto che una pandemia di coronavirus sarebbe peggiore di quella di H1N1, “ma dovremmo almeno considerare le possibili soluzioni nel caso in cui questo scenario si verificasse”.
Le autorità britanniche si sono preparate soltanto per una pandemia simile a quella del 2009, e in questo momento stanno cercando di capire se il timore di un’epidemia più grave sia legittimo, spiega Woolhouse.
“Se sarà peggiore dell’H1N1 sarà difficilissimo da gestire”, ammette Hunter.
Nessuno può prevedere con certezza cosa accadrà, ma Nuzzo ritiene che sia già troppo tardi per scongiurare la pandemia, e che le misure drastiche prese dalla Cina per contenere il virus provocheranno enormi danni. “Sono molto preoccupata dalle possibili conseguenze di questi provvedimenti”, sottolinea.
Nuzzo è convinta che la risposta migliore sarebbe quella di preparare le comunità a gestire il virus anziché cercare di limitarne la diffusione.
(Traduzione di Andrea Sparacino)