sabato, 23 Novembre 2024

SICUREZZA. VERSO UNA DIFESA EUROPEA?

GIAMPIERO MASSOLO (ISPI)

Sì, ma anche dipende. Il Consiglio europeo riunitosi lo scorso 14 dicembre a Bruxelles ha varato ufficialmente la cosiddetta “Pesco”, la cooperazione permanente strutturata nel campo della difesa Ue. Tra gli Stati membri restano fuori dalla cooperazione solo la Gran Bretagna, in uscita dalla Ue ma da sempre contraria a una difesa comune europea, la Danimarca e Malta. Nel corso della celebrazioni di questo traguardo, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha parlato di “un sogno che diventa realtà” e ha sottolineato come “una forte difesa europea rinforza naturalmente la Nato”.

Non siamo alla nascita di un esercito europeo, ma a un accordo che servirà a facilitare la collaborazione europea nel campo industriale per lo sviluppo di nuove capacità e ad assicurare una maggiore prontezza operativa degli strumenti militari europei. Le capacità militari sviluppate in seno alla Pesco restano comunque nelle mani degli Stati membri, che hanno la facoltà di metterle a disposizione anche in altri ambiti, quali la Nato o l’Onu.

Fatte queste debite premesse, la questione che occorre approfondire è se questa recente evoluzione consentirà all’Europa, da un lato, di rafforzare il suo ruolo di contributore netto alla sicurezza globale, e, dall’altra, di conseguire un’autonoma capacità strategica di difesa. In altre parole: che difesa europea sta nascendo e per fare che cosa?

Per molti decenni il leitmotiv della cooperazione europea in tema di sicurezza e difesa ha assunto che esistesse una sostanziale divisione tra capacità di sicurezza “hard” e “soft”, e che all’Unione Europea spettasse di evolvere laddove non v’era duplicazione con la Nato, unico vero garante della “hard security” europea. Le nuove minace alla sicurezza hanno però modificato questa artificiosa ripartizione: come inquadrare, infatti, gli scenari di sicurezza caratterizzati da minacce ibride (hybrid warfare) e asimmetriche (migrazioni, terrorismo, cyber security, information warfare, …), o la gestione del post-conflict? Di fronte a queste sfide emergenti, che si aggiungono alle minacce tradizionali spesso intersecandole e stravolgendone le caratteristiche, è chiaramente percepita la necessità di un diverso approccio, capace di combinare sapientemente strumenti di “hard” e “soft” security, iniziative diplomatiche, assetti civili e aiuto alla sviluppo con mezzi militari e di intelligence. In questo scenario, è evidente che il successo futuro della difesa dell’Unione Europea dipenderà non più dal livello di specializzazione del suo ruolo vis-à-vis della Nato, ma dallo sviluppo di capacità nell’ambito di tutto lo spettro necessario (di tutto “quel che serve”), oltre che dall’individuazione di meccanismi decisionali sempre più efficaci e dalla capacità di interagire con la Nato in sinergia e senza sovrapposizioni.

Da questo punto di vista, la Pesco sembra senz’altro un passo nella giusta direzione. Collettivamente, infatti, l’Europa rappresenta il secondo investitore a livello mondiale nelle spese per la difesa, ma il risultato di questi sforzi è fortemente compromesso dalle duplicazioni tra gli Stati membri nello sviluppo di assetti e capacità, dalle carenze nella interoperabilità a livello europeo dello strumento miliare, e dalle dimensioni dell’industria europea, che sono troppo contenute per competere appieno sui mercati internazionali e beneficiare delle possibili economie di scala e per giustificare i necessari investimenti in ricerca e sviluppo. La Pesco rappresenta, in questo contesto, un’importante innovazione, perché prevede la revisione annuale coordinata della spesa militare degli Stati membri, che dovrebbe contribuire a limitare le inefficienze sopra ricordate, e istituisce il Fondo europeo per la Difesa, che fornirà incentivi finanziari per promuovere la cooperazione nel settore della difesa, dalla fase di ricerca alla fase di sviluppo congiunto di capacità. Lo sviluppo di un mercato europeo della difesa integrato al suo interno e che privilegi l’industria continentale è, nei fatti, un prerequisito per la capacità dell’Unione Europea di farsi portatrice di un contributo positivo alla sicurezza globale.

Più complesso, ad oggi, è invece definire la concreta autonomia strategica che le nuove iniziative saranno in grado di conferire all’Unione Europea, e le collegate questioni del burden sharing transatlantico e dei rapporti Ue-Nato. La Nato rappresenterà ancora per gli anni a venire una insostituibile organizzazione di sicurezza per legare le due sponde dell’Atlantico. Farne a meno, ammesso sia auspicabile, significherebbe comunque poter disporre di quei fondamentali enablers della sicurezza di cui l’Europa, semplicemente, oggi non dispone, così come dimostrano le operazioni militari del 2011 in Libia, dove non abbiamo potuto fare a meno del supporto degli Stati Uniti, che pure volevano rimanere politicamente sullo sfondo della crisi. Senza contare che l’autonomia strategica dell’Europa dipende anche dalla sua capacità di deterrenza nucleare, e che andrebbe dunque compreso fino a che punto i francesi, unica potenza nucleare europea nel post-Brexit, sono disposti a garantire all’intero continente europeo.

Occorre dunque procedere con realismo e con piena coscienza dei propri mezzi. Se questi non ci consentono di “lanciare il cuore oltre l’ostacolo”, ipotizzando nel breve periodo una Ue pienamente autonoma rispetto alla Nato, è però il dato politico delle recenti evoluzioni cui occorre guardare. E il dato politico che emerge è che si è pienamente affermata una nuova e diversa sensibilità nel continente europeo circa le emergenti minacce alla nostra sicurezza, e circa quanto è necessario fare per preparare un futuro in cui l’Europa potrà essere un contributore netto alla sicurezza globale, o, quantomeno, un attore capace di far fronte autonomamente agli scenari più prossimi.

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Cosa ci aspetta nel 2018? A questo interrogativo, l’ISPI ha voluto anche quest’anno dedicare un Dossier speciale sul “Mondo che verrà”, questa volta sviluppato in dieci domande, accompagnate da sei focus. Le risposte, come di consueto, sono affidate alle valutazioni di esperti di primo piano, a cui ancor prima che di “prevedere”, abbiamo chiesto di aiutarci a comprendere.

Scarica il dossier completo in pdf

 

10 DOMANDE PER IL 2018

  1. Corea del Nord: sarà guerra?di Antonio Fiori
  2. Iran e Arabia Saudita allo scontro?di Alberto Negri
  3. Gerusalemme capitale: nuova intifada?di Ugo Tramballi
  4. Ritorno foreign fighters: una minaccia?di Lorenzo Vidino e Francesco Marone
  5. Migrazioni: flussi di nuovo in crescita?di Maurizio Ambrosini
  6. Russia: Putin dopo Putin?di Giancarlo Aragona
  7. Brexit e oltre: l’Europa si spacca?di Antonio Villafranca
  8. Sicurezza: verso una difesa europea?di Giampiero Massolo
  9. Effetto Trump: nuovo protezionismo?di Lucia Tajoli
  10. 10. Africa: grandi speranze deluse? di Giovanni Carbone

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