A Bishkek, in Kirghizistan, il summit annuale dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), l’organizzazione regionale che riunisce Cina, Russia, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan, Uzbekistan, India e Pakistan. A lungo rimasta ai margini dell’interesse internazionale, oggi la SCO attira molte attenzioni su di sé per via della crescente cooperazione tra Russia e Cina e del graduale spostamento verso oriente degli equilibri globali. Ma che cos’è la SCO e come si è evoluta negli anni? Quali sono i progetti russo e cinese per il futuro dell’organizzazione? Quale rapporto ha con l’Occidente?
Un’organizzazione in evoluzione
La SCO fu istituita a Shanghai nel 2001 tra Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan e Uzbekistan con il duplice obiettivo di incrementare la cooperazione in ambito economico e di sicurezza dei suoi membri. La SCO era stata preceduta dallo Shanghai Five, un meccanismo di cooperazione informale stabilito nel 1996 dalla duplice spinta dell’allora presidente cinese Jiang Zemin e dell’omologo russo Mikhail Gorbacev. In seguito alla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 e all’istituzione di cinque nuove repubbliche in Asia Centrale, lo Shanghai Five aveva lo scopo di ridefinire i confini nella regione e di demilitarizzarne le frontiere.
Raggiunta ormai la maggiore età , la SCO si riconferma espressione di uno sforzo congiunto tra Pechino e Mosca volto a favorire una sempre maggiore integrazione regionale. Benché il mandato dell’organizzazione (contenuto nella sua Carta costituente) sia particolarmente ampio, essa sembra mancare di una visione strategica di lungo periodo. La SCO si limita infatti a operare in risposta alle criticità che emergono dal sistema internazionale in determinati momenti, legando le politiche dell’organizzazione a un modello di policy-making dettato dalla contingenza. Per esempio, l’istituzione nel 2002 di un’agenzia permanente per combattere fenomeni di terrorismo regionale a impronta secessionista – laStruttura Regionale per l’Antiterrorismo (RATS) – è avvenuta in seguito agli attacchi terroristici a New York dell’11 settembre 2001, che hanno acceso i riflettori sulla necessità della lotta al terrorismo internazionale.
La composizione della SCO è rimasta immutata dalla sua istituzione fino al summit del 2017 di Nur-Sultan (ex-Astana) in Kazakistan, quando India e Pakistan sono stati elevati dallo stato di membri osservatori a quello di membri a tutti gli effetti dell’organizzazione. Una scelta che ha rappresentato un compromessotra le volontà dei due maggiori sostenitori della SCO, Russia e Cina. All’intenzione di Mosca di far entrare l’India nell’organizzazione, infatti, Pechino ha reagito con una controproposta che ha previsto che anche il Pakistan entrasse nel circuito SCO a pieno titolo.
L’ingresso congiunto di Islamabad e New Delhi nell’organizzazione avrebbe potuto avere come ulteriore ripercussione l’instaurazione di un forum di dialogo a livello istituzionale in grado di smussare la conflittualità tra i due Paesi. Nel agosto 2018, in particolare, India e Pakistan hanno partecipato congiuntamente a uno degli annuali esercizi militari per l’antiterrorismo della SCO in Russia. Tuttavia, l’interazione all’interno dell’organizzazione non ha sortito l’effetto sperato. Al contrario, le relazioni tra India e Pakistan nell’ultimo anno non hanno fatto che inasprirsi, tanto da sfiorare una pericolosa escalation militare nel mese di febbraio.
Il summit di Bishkek: quale agenda?
Il “Consiglio dei Capi di Stato” è il principale organo decisionale della SCO. Si incontra una volta l’anno, ospite di uno degli stati membri, a rotazione. Il Summit annuale del Consiglio è l’unica occasione in cui l’organizzazione rivela la sua preferenza strategica. Nel summit di Qingdao (Cina) del 9-10 giugno 2018, per esempio, particolare attenzione era stata riservata allo sviluppo di una maggiore cooperazione regionale nei settori della cultura e del turismo, con la firma di due accordi in tal senso.
L’ordine del giorno del Summit di quest’anno ben esemplifica la complessità del mandato della SCO. Come dichiarato alla stampa cinese da Vladimir Norov, Segretario Generale dell’organizzazione, durante il summit di Bishkek di quest’anno i capi di stato degli Stati membri dell’organizzazione dovrebbero firmare una serie di documenti volti a intensificare le relazioni inter-regionali, rafforzare la lotta al narcotraffico, stabilire nuove forme di cooperazione in vari settori tra cui quello sanitario, ambientale, sportivo e delle tecnologie dell’informazione.
Quest’ultimo punto è particolarmente interessante poiché pone l’accento sul complesso tema del settore delle telecomunicazioni, al centro della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. Il tema della competizione per l’accesso alle nuove tecnologie è stato oggetto anche del Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo del 6-8 giugno scorso. Il peso che la Cina riveste in ambito SCO potrebbe favorire uno schieramento degli altri stati membri dell’organizzazione in favore dell’adozione di sistemi delle telecomunicazioni mutuati da provider cinesi.
Un’organizzazione a trazione russo-cinese
MOSCA E PECHINO, PARTNERSHIP SEMPRE PIĂ™ STRATEGICA?
Nel 1998 il primo ministro russo Evgenij Primakov descrisse il rapporto tra Russia, India e Cina come un “triangolo strategico” in grado di controbilanciare il sistema unipolare dominato dagli americani. Allora il concetto non risultò molto popolare a New Delhi e Pechino. A oltre vent’anni dalle previsioni di Primakov, però, le parole di quest’ultimo assumono un peso diverso, soprattutto alla luce della crescente cooperazione sino-russa a livello regionale e globale e dell’entrata dell’India nella SCO nel 2017. Pechino e Mosca hanno infatti intensificato la loro cooperazione in numerosi settori, da quello economico a quello militare passando per quello diplomatico, in cui la SCO svolge un ruolo sempre piĂą strategico.
In generale, a un aumento del commercio bilaterale, si accompagna una crescente convergenza politica in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – dove sia Russia che Cina hanno potere di veto – e all’interno dell’Assemblea Generale, dove entrambi gli Stati sono i principali promotori di una riforma dello spazio informativo digitale basata sul principio della sovranitĂ nazionale. Infine, l’accresciuta cooperazione militare è stata suggellata dalla partecipazione dell’esercito cinese all’esercitazione militare russa “Vostok 2018”. Si è trattato della piĂą imponente esercitazione russa dal 1981 che era stata concepita da Mosca negli anni ’80 per far fronte ad una possibile invasione da parte della Cina alla luce delle dispute sui confini.
Oggi Russia e Cina vengono definite dalla Strategia di Difesa statunitense come la minaccia piĂą insidiosa per l’ordine politico internazionale. L’organizzazione fornisce un forum d’eccezione per la cooperazione economica e di sicurezza a livello regionale, ma è anche una vetrina per le ambizioni russe e cinesi di costituire un polo di potere alternativo a quello statunitense. I due Stati sono infatti il motore dell’organizzazione e sembrano aver trovato in essa uno strumento per appianare alcune loro divergenze. In particolare, il dominio crescente della Cina in Asia Centrale, ovvero una potenziale criticitĂ tra Mosca e Pechino, verrĂ affrontato anche attraverso la SCO con una “ripartizione del lavoro” in quella regione; Mosca, resasi conto dell’impossibilitĂ di sfidare la penetrazione economica cinese nella regione, ha assunto sempre piĂą un ruolo di security provider. O, citando Alexander Gabuev e Vita Spivak, due analisti russi esperti di Cina, la Russia ha in mano la pistola, mentre la Cina i soldi. A condizione, però, che Pechino rispetti le organizzazioni regionali guidate dalla Russia come l’Unione economica eurasiatica.
IL FUTURO DELLA SCO VISTO DALLA CINA
L’interesse di Pechino verso la SCO è aumentato parallelamente all’importanza strategica dell’Asia Centrale per la politica estera cinese. Con la Belt and Road Initiative (BRI) sempre più utilizzata come elemento di legittimazione del potere del Presidente Xi Jinping all’interno del partito, il successo del progetto appare indissolubilmente legato alla stabilità dell’attuale leadership.
La SCO svolge quindi una funzione strategica per la Cina, essendo un framework di cooperazione attivo nei Paesi interessati dalla BRI che ha lo scopo di salvaguardare la stabilità regionale. Inoltre, la SCO promuove la cooperazione in ambito di sicurezza toccando fenomeni di instabilità sistemica, che preoccupano sempre più Pechino. L’Asia Centrale è infatti focolaio di movimenti secessionisti a matrice islamica che fanno uso di attacchi terroristici e violenza politica. A causa della permeabilità delle frontiere e della dislocazione dei membri afferenti a tali gruppi terroristici in più Paesi, una strategia congiunta rimane necessaria affinché venga assicurata la realizzazione dei progetti infrastrutturali cinesi. Non a caso, diversi sono gli accordi firmati in tal senso dai membri della SCO e poi implementati dal RATS.
Inoltre, l’ingresso del Pakistan nella SCO, su spinta di Pechino, sembrerebbe evidenziare la tendenza verso una nuova dimensione dell’organizzazione come strumento per garantire l’avvicinamento dei maggiori partner BRI alla sfera d’azione di Pechino. Il Corridoio Economico Sino-Pakistano (CPEC) è, infatti, uno dei progetti di punta della Nuova Via della Seta che, una volta ultimato, andrebbe a garantire alla Cina uno sbocco diretto sul Mar Arabico. Tuttavia, il CPEC è giĂ diventato oggetto di contestazioni nazionali che hanno raggiunto un’apice violenta con l’attentato al Consolato cinese di Karachi a fine 2018.
IL FUTURO DELLA SCO VISTO DALLA RUSSIA
Uno dei principali obiettivi della politica estera russa è quello di continuare a coltivare le relazioni con la Cina – soprattutto alla luce dei problemi di Mosca con l’Occidente – cercando però di non soccombere a un partner sempre piĂą rilevante a livello politico ed economico internazionale. La strategia di Mosca per riequilibrare la sua relazione asimmetrica con la Cina potrebbe dunque essere quella di facilitare un ulteriore coinvolgimento cinese all’interno di istituzioni multilaterali, in primis la SCO. Come afferma Dimitri Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, la Russia ha tutto l’interesse a trasformare la SCO nel principale organismo deliberativo mondiale sulle questioni di sicurezza nell’Asia continentale. Mosca, che vanta piĂą esperienza militare, diplomatica e di intelligence di qualsiasi altro stato membro della SCO, può svolgere infatti un ruolo chiave in questo processo, affiancando la SCO all’Organizzazione del Trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO), alleanza militare dominata dalla Russia che comprende Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Inoltre, Mosca auspica un’intensificazione della cooperazione con l’India, sia nella SCO che nel quadro del gruppo Russia-India-Cina (RIC), che riunisce le tre principali potenze del continente. Tale prospettiva potrebbe tuttavia essere ostacolata dalla crescente competizione regionale tra Pechino e New Delhi.
La SCO e l’Occidente
UN POLO ALTERNATIVO ALLE ALLEANZE OCCIDENTALI?
La natura di organizzazione di sicurezza ed economica che coinvolge un’area cruciale per i futuri equilibri globali – e soprattutto alternativa all’Occidente – rende la SCO un’istituzione potenzialmente interessante per quei Paesi che cercano una diversificazione delle proprie partnership, soprattutto in momenti in cui le relazioni con Stati e istituzioni occidentali attraversano momenti di difficoltà . Casi emblematici in questo senso sono la Turchia e l’Iran.
Ankara è partner di dialogo della SCO fin dal 2012. Ciclicamente, la leadership turca ha invocato una partecipazione più stretta nell’organizzazione, paventando un abbandono del percorso di adesione all’Unione Europea una volta raggiunta la piena membership della SCO. Non a caso le richieste turche di una partnership più solida sono arrivate proprio nei momenti di maggiore difficoltà per le sue relazioni con l’Occidente, e soprattutto come conseguenza dell’insoddisfazione per lo stallo del processo di adesione all’Ue. Di conseguenza, la preoccupazione da parte della SCO, e soprattutto da parte di Pechino, è che Ankara utilizzi la SCO proprio come leva negoziale nelle sue relazioni con la Nato, l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Del resto, le potenziali implicazioni di una piena inclusione di Ankara sarebbero notevoli: si tratterebbe infatti dell’unico membro Nato incluso nell’organizzazione. Per questo motivo, le prospettive attuali sembrano indicare che l’adesione turca, per il momento, non possa andare oltre il ruolo di osservatore.
Un discorso simile si può fare per l’Iran, soprattutto dopo gli sviluppi recenti legati al futuro del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’accordo sul nucleare iraniano. Nonostante Teheran, a differenza di Ankara, non sia membro di istituzioni occidentali come la Nato e non abbia relazioni altrettanto strette con UE o USA, sempre di più la leadership iraniana sembra guardare in maniera a est: una conseguenza, questa, del fallimento del dialogo con l’Occidente, e in particolar modo con l’Unione europea, come risultato dell’impasse sul JCPOA. Del resto, Teheran, membro osservatore della SCO fin dal 2008, persegue da tempo la piena adesione all’organizzazione per due motivi principali: innanzitutto, la piena integrazione nell’organizzazione conferirebbe alla Repubblica islamica quello status di potenza regionale che cerca da tempo, dando così pieno riconoscimento e legittimità a un Paese che quarant’anni dopo la rivoluzione non è ancora pienamente incluso nella comunità internazionale.
In secondo luogo, la piena partecipazione alla SCO fornirebbe a Teheran una via di uscita dall’isolamento regionale che la vede confrontarsi con i tentativi di contenimento messi in atto dai propri vicini regionali, nei quali la Repubblica islamica non ha mai trovato un alleato. Ciononostante, anche per Teheran, così come per Ankara, le prospettive di un’adesione più stretta non sembrano immediate: se fino al 2016 Russia e Cina avevano posto il veto al pieno ingresso di Teheran perché l’organizzazione non avrebbe accettato tra i suoi membri Paesi soggetti a sanzioni da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, anche nel post-sanzioni questi due paesi sembrano scettici circa l’opportunità di conferire a Teheran la piena membership. Elevare Teheran a pieno membro dell’organizzazione in un contesto di crescenti difficoltà nelle relazioni tra la Repubblica islamica e l’Occidente, così come con i propri vicini regionali, rappresenterebbe infatti agli occhi di Pechino e Mosca una potenziale “scelta di campo”. Per ora, nessuno dei due Paesi sembra disposto a compierla, anche e soprattutto in virtù  delle difficili relazioni con Washington da una parte e, dall’altra, delle sue relazioni sempre più intense con gli altri paesi del Golfo: a partire dall’Arabia Saudita, principale avversario geopolitico di Teheran nella regione.
QUALE RAPPORTO CON L’UNIONE EUROPEA?
Sebbene non esistano relazioni ufficiali tra SCO e Unione Europea, un certo livello di dialogo è assicurato da incontri ad hoc tra il Rappresentante speciale dell’UE per l’Asia Centrale, ruolo ricoperto in questo momento dallo slovacco Peter Burian, e il Segretario generale della SCO, in questo momento l’uzbeko Vladimir Norov. Tuttavia, entrambe le parti sembrano scettiche riguardo la possibilità di creare un dialogo più serrato. L’azione dell’UE, in particolare, sembra essere bloccata dalla scarsa aderenza dei Paesi membri della SCO ai valori sui quali Bruxelles delinea le proprie partnership, come il rispetto dei principi democratici.
Tale approccio è visto con diffidenza da Paesi come la Cina e la Russia, che al contrario basano la propria politica estera su un approccio non normativo alle relazioni internazionali. Secondo alcuni analisti, l’UE dovrebbe avere un atteggiamento più pragmatico alla SCO, strumentale alla realizzazione di propri interessi quali la stabilizzazione dell’Asia Centrale, la sicurezza energetica, la lotta al terrorismo e al narcotraffico. Tuttavia, anche nell’ultima strategia dell’UE per l’Asia Centrale, la comunicazione congiunta adottata nel maggio 2019, si ribadisce che l’Unione “continuerà a monitorare” le evoluzioni della SCO, senza dunque presagire a un dialogo più stretto.
QUALE RAPPORTO CON GLI STATI UNITI?
Gli Stati Uniti hanno a lungo guardato con sospetto alla SCO, per timore che un ampliamento delle dimensioni e delle funzioni dell’organizzazione potesse compromettere l’influenza statunitense in Asia Centrale, regione chiave per la lotta al terrorismo e per la sicurezza energetica globale. Quando l’organizzazione è stata creata – nel giugno 2001 – gli USA si trovavano ancora nella lunga “fase unipolare” post-guerra fredda, bruscamente interrotto dall’11 settembre e dalle guerre che a esso sarebbero seguite. Al 2005 infatti risale il primo appello ufficiale della SCO a Washington affinché predisponesse un calendario certo per il ritiro delle proprie truppe dalla regione; da lì a pochi mesi l’Uzbekistan avrebbe imposto alle truppe USA di lasciare la base di Kharshi-Khanabad (K2). Sempre al 2005 risale la richiesta da parte di Washington di ottenere lo status di osservatore, respinta dall’Organizzazione. Anche l’amministrazione Obama ha a lungo cercato, senza successo, di intavolare un dialogo con la SCO, in considerazione soprattutto del ritiro statunitense dell’Afghanistan e dall’ingresso di Kabul come osservatore nell’Organizzazione nel 2012.
Con l’inizio dell’era Trump, la Casa Bianca sembra aver perso interesse nella ricerca di un dialogo con l’organizzazione. Soprattutto nei confronti della Cina, il presidente USA sembra infatti prediligere un approccio unilaterale e “muscolare”, attraverso dazi, sanzioni e altri strumenti di guerra economica. Particolarmente emblematico in questo senso è stato il risultato dei due summit del giugno 2018 che hanno visto protagonisti da un lato i Paesi del G7 e dall’altro i membri SCO. Mentre dal G7 canadese arrivavano immagini di un’alleanza tutt’altro che salda, con l’abbandono in anticipo del vertice da parte di Trump, dal summit SCO di Qingdao provenivano le immagini di una nuova salda alleanza a est, pronta a sfidare “il vecchio ordine” occidentale.