La prima metà del secolo scorso è stata l’età della ascesa irresistibile del nazionalismo aggressivo e violento. Dopo la “inutile strage” della Grande guerra, in cui l’ideologia e i movimenti nazionalistici svolsero un ruolo fondamentale nel fornire un consenso di massa alle scelte tragiche dei governi, la febbre nazionalistica non diminuì nei popoli europei, ma anzi raggiunse un nuovo apice a causa dell’affermazione dei regimi totalitari post-bellici e della conflagrazione globale nella Seconda guerra mondiale. Soltanto le decine di milioni di morti, la vergogna e l’orrore dei campi di sterminio, le immani distruzioni di questo conflitto indussero popoli nemici a instaurare relazioni pacifiche e a disegnare gli assetti politici sopranazionali dell’odierna Unione Europea.
Tuttavia, oggi, a 80 anni di distanza dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, il nazionalismo, sfruttando cinicamente la paura dei popoli, si ripresenta sotto abiti nuovi insieme alle altre passioni tristi dell’Europa (l’identitarismo, il protezionismo, il sovranismo di ripiego) come le ha definite Emmanuel Macron nel discorso alla Sorbona del 27 settembre 2017. Ma quanto è preoccupante questo ritorno? Chiediamoci innanzitutto che cos’è nazionalismo e che ruolo ha svolto nella storia.
Il nazionalismo è l’ideologia dello stato nazionale, afferma che le nazioni esistono e presentano caratteristiche esplicite e peculiari, che i valori e gli interessi nazionali hanno la priorità su tutti gli altri, e che le nazioni devono essere politicamente indipendenti e sovrane. Nazionalistico è ogni movimento collettivo che persegue il progetto politico della unificazione dello stato e della nazione e mira a conquistare e conservare l’autonomia, l’unità e l’identità di una nazione, sviluppando nei propri membri la consapevolezza di una comune appartenenza e utilizzando il linguaggio e l’apparato simbolico della dottrina nazionalistica. Nella sua versione più radicale, il nazionalismo subordina ogni valore politico a quello nazionale, pretende di essere l’unico interprete e difensore legittimo dell’interesse nazionale e considera ogni tipo di conflitto sociale o di competizione politica una minaccia per la solidarietà nazionale.
Il nazionalismo ha svolto un ruolo ambivalente nella storia: da un lato, ha consentito la formazione dei nuovi stati nazionali e contribuito al processo di modernizzazione e alla egemonia europea nel mondo, dall’altro è stato alla radice di conflitti sanguinosi fino alle guerre mondiali del XX secolo che hanno rappresentato il suicidio dell’Europa. Il processo di integrazione europea avviato alla fine della Seconda guerra mondiale è nato dalla volontà di porre definitivamente fine alle “guerre civili europee” e al nazionalismo aggressivo che le ha alimentate. Ma dopo settanta anni l’ideologia nazionalista con i sui atteggiamenti di pregiudizio e intolleranza è ancora ben presente, alimenta movimenti politici populisti e costituisce un grave ostacolo sulla via dell’unione politica europea.
La realtà europea è tuttavia oggi molto diversa da quella di 80 anni fa. Conflitti armati tra gli stati dell’Unione Europea sono altamente improbabili (anche se sono in corso nell’altra parte d’Europa, tra Russia e Ucraina) e ancor meno probabile è una guerra mondiale. La memoria delle tragedie e degli orrori della Seconda Guerra mondiale è ancora viva, anche se vanno scomparendo le generazioni che li hanno vissuti personalmente. I giovani europei, che condividono una cittadinanza europea comune accanto alle rispettive cittadinanze nazionali, ripudiano la guerra e non si lasciano incantare da sirene patriottarde. L’integrazione europea è un dato di realtà.
Le reti di interdipendenza economica e la fitta trama di rapporti sociali e culturali sono antidoti potenti della febbre nazionalistica. Diffusa è la consapevolezza che nessun paese membro dell’UE, per quanto economicamente potente o politicamente ambizioso, può essere attore globale e che per competere nel mercato mondiale è necessario unire le forze. Il nazionalismo è insomma anacronistico.
E tuttavia non si devono sottovalutare i rischi del suo prepotente ritorno, in primo luogo perché minaccia di ostacolare il cammino verso una più completa integrazione europea. Le istituzioni della governanceeuropea costituiscono un comodo capro espiatorio cui attribuire la responsabilità delle crisi. E l’attacco alla UE si associa a quello alla società aperta. L’uso spregiudicato che fanno i leader nazional-populisti delle paure e dei pregiudizi, le chiusure localistiche, le barriere erette contro “lo straniero”, sono segnali di allarme che non vanno trascurati, ma contrastati con antidoti efficaci.
Il nazional-populismo è forte in particolare nell’Europa orientale dove la fine dell’Unione Sovietica ha provocato l’esplosione di tensioni latenti da decenni e la nascita di movimenti nazionalistici di compensazione, temibili perché riflettono risentimenti, umiliazioni, sensi di inferiorità; ma sta crescendo anche in molti paesi dell’Europa centrale e occidentale come reazione ai fenomeni di spaesamento e de-territorializzazione causati dai processi di globalizzazione e di integrazione sopranazionale. Il nazional-populismo offre infatti una base identitaria ai molti scontenti della globalizzazione, i quali identificano nelle elite transnazionali e nella burocrazia e tecnocrazia dell’UE i responsabili dei loro problemi di disoccupazione, precarizzazione, diminuzione del reddito e generale insicurezza.
Ma la strategia di recupero della sovranità nazionale non è una risposta efficace alle sfide intrecciate della crisi economica, della disuguaglianza, del malfunzionamento della democrazia rappresentativa, del terrorismo e delle guerre, perché i vincoli posti dalla globalizzazione alla sovranità non vengono certo meno, ma sono al contrario più forti e stringenti per entità statuali più piccole e deboli. E si tratta soprattutto di una risposta pericolosa, perché esaspera divisioni e conflitti.
La risposta più efficace ai risorgenti nazionalismi è la rifondazione del progetto europeo che faccia dell’UE un modello di sviluppo equo e sostenibile e un garante della pace e della sicurezza internazionale.