È la dottrina-Trump sul mondo e sul ruolo dell’America nel Terzo Millennio. È il documento che sancisce la fine dell’era-Obama e che sistematizza, in una visione strategica, il suo America first. In tutto questo, è legittimo definire “storico” il Rapporto di Donald Trump in cui vengono indicate le linee guida della nuova strategia sulla sicurezza nazionale americana; linee che l’Associated Press ha anticipato. Non piacerà certamente ai liberal e ai multilateralisti, ma non per questo può essere banalizzato. Perché si tratta di un documento serio, e come tale va analizzato.
Tutti i quattro punti della strategia su cui si articola il Rapporto-Trump hanno la “sua America” al centro: la promozione dell’American prosperity; la protezione dell’homeland and way of life; la difesa della pace anche attraverso la forza; l’affermazione dell’influenza degli Usa in an-ever competitive world. La dottrina-Trump non è solo una indicazione di priorità. È una ideologia, una visione che parla, internamente, soprattutto ai settori più radicali e attivi del suo elettorato. Le priorità cambiano totalmente.
America First non significa American alone, ma nella dottrina-Trump le alleanze vanno ricercate con chi fa coincidere i propri interessi con quelli degli Usa. Settanta pagine per disegnare il futuro e seppellire il passato. Ogni sistema di alleanze nel quale gli Stati Uniti sono inseriti deve essere rivisitato alla luce della dottrina dell’America First. Ecco allora che la Nato può avere un senso e un ruolo, nella visione dell’amministrazione Trump, se assume come prioritaria la minaccia della Corea del Nord e se si pone il problema di un “contenimento” dell’espansionismo russo (vedi Ucraina e Georgia) o quello di Pechino nel Mare del Sud cinese. La sicurezza si paga. Ed è quello che l’America esigerà dagli alleati europei.
Anche qui: nessuno sconto sarà più fatto. Ciò significa che l’America chiederà ad ogni Paese alleato, Italia tra essi, di farsi carico nei termini e nelle dimensioni finanziarie finora inevasi delle spese di difesa nell’Alleanza Atlantica e in ogni altro organismo di sicurezza. La forza, anche inquietante, del documento anticipato da AP, è nella sua organicità. Per la quale, ad esempio, gli interessi economici americani devono guidare anche le scelte, e gli investimenti, militari: i secondi in funzione dei primi. Se questo significa rafforzare le barriere doganali, con la Cina e con l’Europa, nessun problema: l’America lo farà. Trump non dimentica che a votarlo sono state le tute blu che hanno pagato il prezzo di una deindustrializzazione che ha portato intere produzioni fuori dagli States.
La dottrina-Trump, da questo punto di vista, è anche la sistematizzazione del pensiero di un sovranista, miliardario, che si è saputo ergere, o comunque anche per questo è stato votato dagli operai wasp, come paladino dell’antiglobalizzazione, quella che ha conflitto con gli interessi americani. Il lavoro agli americani, e se ne avanza allora, ma solo allora, entra in campo la prodigalità. La sicurezza in funzione dell’economia. Vale anche, per certi versi soprattutto, nelle politiche sull’immigrazione. Il Muslim-ban è parte integrante di questa dottrina come lo è il Muro con il Messico.
Quanto al Medio Oriente, e ai conflitti che lo segnano, ultimo in ordine di tempo quello su Gerusalemme, il Trump-pensiero rilegge la Storia e indica nuove chiavi di lettura che dovranno guidare l’azione in un futuro che si fa presente. Secondo la dottrina-Trump “per generazioni il conflitto tra Israele e i Palestinesi è stato visto come la causa principale della mancanza di pace e di prosperità nella Regione”. Se questo è stato vero un tempo, oggi non è più così. Oggi, per Trump, “il diffondersi del terrorismo jihadista e delle sue organizzazioni e l’aggressività dell’Iran dimostrano che Israele non è la causa dei problemi regionali. Gli Stati Uniti condividono gli stessi interessi d’Israele in questo comune teatro”. La dichiarazione su Gerusalemme capitale unica e indivisibile d’Israele non è dunque una scelta tattica, contingente, ma la ricaduta inevitabile di questa visione strategica. “Chiunque intenda essere nostro partner – sottolinea il documento – deve operare con noi per contrastare le ideologie radicali e rompere ogni legame, diretto o indiretto, con l’estremismo islamista e con la violenza.
Quanto alla Russia, “contenere” non significa per forza “confliggere”. Anzi. Trump non solo non “demonizza Putin” ma anzi mette in risalto la rinnovata cooperazione tra i due leader, e non solo tra i due Paesi, nel contrasto al terrorismo, così come in alcune importanti partnership economiche. Un esempio di questa collaborazione, annota il documento, sono i ringraziamenti rivolti da Putin alla Cia, e a Trump, per aver sventato un attacco terroristico dell’Isis a San Pietroburgo. Non è la Russia, nella dottrina-Trump, il “Grande competitore” americano. Nel documento sulla sicurezza nazionale, l’inquilino della Casa Bianca assegna questo ruolo al Gigante cinese. E non solo per quel che riguarda la “guerra dei dazi” e del protezionismo americano. Dall’Asia all’Africa, la penetrazione cinese è silenziosa quanto efficace. Non usa esercito ma gli affari. E gli “affari” cinesi mettono a rischio quelli americani. E questo fa scattare l’allarme rosso per Trump. La sua dottrina può ammettere alleati, più o meno occasionali, ma non tollera grandi competitori. In Oriente men che meno