Nelle università private Usa, dove i ricchi pagano carissimo il loro apprendimento, si aprono le porte con numerose borse studio a chi dimostra attitudini speculative in tutti i campi dello scibile umano. Naturalmente questo non avviene per spirito di carità
Ancora sull’America, dove ho trascorso le ultime tre settimane viaggiando da una città californiana a una dell’estremo nord ovest. Ovunque incontro giovani italiani, spesso nostalgici ma fermamente impegnati nel processo di integrazione. Criticano molte abitudini del Paese, ma sono tutti d’accordo su un fattore essenziale: la meritocrazia. La vita in una comunità degli studi e della ricerca che premia chi ha talento e chi si applica, dà molti vantaggi. Certo, questo vuol dire lasciare indietro i meno dotati e i meno capaci, gli incerti, i pigri.
Un concetto darwiniano della società che certamente andrebbe corretto, ma che produce energia, forza intellettuale vincente. Le più grandi scoperte sul piano scientifico e tecnologico vengono da centri di ricerca i cui lavorano fianco a fianco uomini e donne di tutti i Paesi del mondo messi insieme solo sul criterio della capacità e dell’ingegno. Nelle università private, dove i ricchi pagano carissimo il loro apprendimento, si aprono le porte con numerose borse studio a chi dimostra attitudini speculative in tutti i campi dello scibile umano.
Naturalmente questo non avviene per spirito di carità, ma perché la fama e la forza attrattiva di una università si basano sulle eccellenze che ha saputo coltivare. E non si tratta di fama usurpata o di questioni di appartenenza politica o di privilegi familiari e sociali. Le persone più deboli culturalmente, gli asociali, gli ignoranti vengono messi da parte.
Dal punto di vista cristiano, si tratta di una ingiustizia. E su questo i democratici come Obama hanno cercato di lavorare creando nuove forme di assistenza medica e sociale. Ma la mentalità calvinista, basata sulla idea che il mondo appartiene ai migliori che se lo sono meritato, funziona ancora. Stranamente questa mentalità assomiglia a quella tradizionale giapponese. Anche se non ha niente a che vedere con il calvinismo, ma con lo scintoismo, le due culture si incrociano sul senso del premio ai migliori che vanno difesi e protetti. Sentimento e pratica da noi quasi sconosciuta.
Da noi i migliori, dopo avere investito per educarli, li si lasciano partire per elevare il livello della creatività soprattutto scientifica ma anche artistica , altrove, in Paesi dove si sa che avranno riconoscibilità e consenso. Sembra assurdo che si debba scegliere fra la meritocrazia e la tutela dei più deboli e dei più fragili. È veramente così difficile conciliare l’accesso al merito con una mano tesa ai perdenti, per ragioni sociali o psicologiche? Possibile che le due pratiche non possano convivere?
Dacia Maraini
[ CORRIERE DELLA SERA ]