Confermando i risultati parziali del primo turno delle elezioni presidenziali dello scorso 31 marzo e i sondaggi che lo davano come candidato ampiamente favorito, nel ballottaggio di Domenica 21 aprile gli ucraini hanno scelto l’attore Vladimir Zelensky (Volodymyr Zelenskiy in ucraino): i dati dei primi exit poll lo danno come vincitore con oltre il 70% dei voti, annunciando che sarà lui il prossimo presidente dell’Ucraina; il secondo dopo la rivoluzione Euromaidan del 2014 che ha portato alla deposizione di Viktor Yanukovych e al conflitto che ancora oggi interessa la parte orientale del Paese. Una delle caratteristiche di Zelensky che ha destato maggiore preoccupazione tra gli osservatori di fronte alla prospettiva di una sua possibile elezione è soprattutto la sua mancanza di esperienza politica. Eppure, sembra che, tra gli altri, sia proprio questo l’aspetto che ha convinto molti ucraini ad eleggerlo. Stanchi di un panorama politico ancora dominato dagli oligarchi – due sui tre candidati più credibili in queste elezioni, il presidente uscente Petro Poroshenko (che ha già accettato la sconfitta) e la “pasionaria” della Rivoluzione Arancione Yulia Tymoshenko, lo erano – i cittadini ucraini chiedono una sola cosa: rinnovamento. Ma chi è questo comico che è riuscito a conquistare la fiducia di milioni di cittadini e che ora guiderà Paese più grande d’Europa? Perché Poroshenko ha perso? E perché il risultato di queste elezioni è importante per l’Unione Europea?
Perché Poroshenko ha perso?
Agli occhi di molti ucraini, Poroshenko ha tradito le speranze di rinnovamento politico che hanno animato la rivoluzione di Euromaidan, tra cui soprattutto la lotta alla corruzione, un problema particolarmente sentito dalla società ucraina. L’Ucraina continua a occupare una posizione molto bassa nel Corruption Perception Index 2018 (CPI) pubblicato da Transparency International, posizionandosi al 120° posto su 180 paesi: 10 posizioni in più rispetto al 2017, ma comunque il peggior risultato nell’intera regione dopo la Russia. Durante un mandato di quasi cinque anni, Poroshenko non ha smantellato il sistema di governo corrotto dell’Ucraina, né ha intaccato in maniera significativa il sistema oligarchico, di cui egli stesso fa parte. Il presidente uscente è stato inoltre accusato di non essere riuscito a creare e proteggere una stampa libera, in un Paese in cui molti media sono ancora ostaggio degli interessi di alcuni oligarchi. Poco tollerante alle critiche, Poroshenko ha in molti casi risposto alle accuse di corruzione con toni che non hanno fatto che aumentare la disaffezione dei cittadini nei suoi confronti. Attaccato sul tema della corruzione, ha una volta semplicemente dichiarato di “non essere Yanukovych”: l’ex presidente è infatti inviso alla popolazione proprio gli episodi di corruzione da lui cinicamente ostentati, al punto che una delle sue proprietà è stata oggi trasformata in un museo (Mezhyhirya Residence, conosciuto come il “museo della corruzione”). In un’altra occasione, Poroshenko suscitò scalpore quando definì un uomo che gli aveva chiesto quando avrebbe finalmente combattuto la corruzione un “ateo, un provocatore e un moskal”, un insulto etnico usato dagli ucraini per schernire i russi. I problemi economici del Paese hanno contribuito ad alimentare il malcontento della popolazione per la corruzione dilagante. Il PIL pro capite dell’Ucraina si è attestato a 2.964 dollari nel 2018, secondo il World Economic Outlook pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). Una condizione, questa, che fa dell’Ucraina il Paese più povero d’Europa, seguito da Moldavia (3.226 $), Bielorussia (6.020 $) e Russia (10.950 $).
Poroshenko non è riuscito inoltre a mantenere la difficile promessa di risolvere o migliorare la situazione nella regione orientale del Donbass. La guerra costituisce tuttora una drammatica realtà per l’Ucraina. Secondo dati ONU, dall’inizio della guerra le vittime sono oltre 13.000 e i feriti 30.000. I quattro Paesi del cosiddetto “Formato Normandia” (che comprende i negoziatori designati da Russia, Ucraina, Francia e Germania) non si incontrano ad alto livello dall’ottobre del 2016 e gli accordi di Minsk non vengono rispettati, con violazioni quasi quotidiane del cessate il fuoco: la Special Monitoring Mission (SMM) dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ha rilevato oltre 270.000 violazioni del cessate il fuoco nel 2018. La situazione è giunta a un’ulteriore escalation nel novembre del 2018, quando nello stretto di Kerch la Russia ha attaccato tre navi militari ucraine, arrestando 24 marinai tuttora detenuti in Russia. La strategia di Poroshenko nei confronti della Russia è stata quella di proseguire e innalzare il livello dello scontro: non a caso, lo slogan di Poroshenko (“Esercito! Lingua! Fede!”) insisteva sulla modernizzazione dell’esercito, la promozione della lingua ucraina (a discapito del russo, secondo il Cremlino) dell’autonomia ella Chiesa Ortodossa ucraina da quella russa; un risultato, questo, ottenuto lo scorso ottobre. Se queste misure sono risultate indubbiamente popolari in Ucraina, non sono bastate a far conquistare a Poroshenko un nuovo mandato presidenziale, così come non è bastata la strategia di screditare Zelensky come un candidato “non sufficientemente ucraino”. Enormi poster apparsi in tutto il Paese durante la campagna elettorale mostravano il volto di Poroshenko contrapposto a quello del presidente russo Vladimir Putin invece di quello del candidato sfidante Zelensky, suggerendo agli ucraini che la scelta da compiere il giorno del ballottaggio era tra in realtà tra gli interessi dell’Ucraina (rappresentata ovviamente da Poroshenko) e quelli di Mosca (rappresentati da Putin ma anche, indirettamente, da Zelensky).
Cosa si aspettano gli ucraini da Zelensky?
Nato nell’est dell’Ucraina, parlando il russo come prima lingua, e nonostante sia accusato di avere legami con il controverso magnate ucraino Igor Kolomoysky, Zelensky ha saputo conquistare la maggioranza dei voti grazie a una campagna elettorale che ha posto l’accento sull’unità nazionale e sul cambiamento sociale ed economico: sono essenzialmente questi i due ambiti in cui gli ucraini si aspettano dei risultati concreti dal nuovo presidente. Zelensky ha saputo articolare un programma politico credibile, nonostante questo non fosse stato ancora presentato quando il comico ha lanciato la sua campagna elettorale. Tale programma – in gran parte definito grazie ai suoi advisor politici, ma anche grazie commenti degli elettori sui social media – si struttura in “dieci decisioni” sulla politica estera ed economica e rivela nomi dei possibili candidati ministri, molti dei quali sono politici rispettati, liberali ed esperti: tra questi, l’ex ministro delle finanze Alex Danylyuk per gli esteri, Ihor Smeshko come capo della SBU (i servizi di sicurezza e counterintelligence ucraini, già guidati da Smeshko dal 2003 al 2005), e il pubblico ministero di origine statunitense Martha Boersch (a capo delle indagini sull’ex primo ministro Pavlo Lazarenko che hanno poi portato al suo arresto).
Il principale dossier di politica estera riguarda, comprensibilmente, la risoluzione del conflitto e le relazioni con la Russia. Zelensky vuole invitare il Regno Unito e gli Stati Uniti a partecipare ai colloqui del “Formato Normandia”. Se il suo programma non prevede negoziati diretti con i rappresentanti delle repubbliche popolari di Donetsk (DPR) e Lugansk (LPR), Zelensky si dice tuttavia pronto ad avere colloqui diretti con Putin, anche con il coinvolgimento dei “partner internazionali”. Secondo Zenon Zawada, analista politico, questo elenco di promesse e di possibili ministri ha rinforzato l’impressione tra gli elettori che l’elezione di Zelensky possa rappresentare una prospettiva plausibile per l’inizio di un percorso di riforma, rendendo allo stesso tempo manifesto l’impegno del nuovo presidente a favore dell’integrazione pro-occidentale dell’Ucraina e scongiurando l’eventualità di un ritorno di Kiev nell’orbita di Mosca.
In realtà, Zelensky non si è mai dimostrato “morbido” nei confronti della Russia nella sua campagna elettorale. Ha più volte sottolineato il suo sostegno alla rivoluzione Euromaidan e criticato l’aggressione militare russa a est, aiutando persino a finanziare battaglioni nazionalisti nella guerra. Eppure, è indubbio che l’elemento di “novità” che contraddistingue Zelensky, le sue posizioni più moderate su temi quali il bilinguismo e la sua disponibilità a trattare con Putin rendano la sua elezione una prospettiva più positiva per Mosca rispetto a un secondo mandato di Poroshenko.
Cosa cambia per l’Europa?
Anche se l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea, Federica Mogherini, aveva già dichiarato prima delle elezioni che l’UE avrebbe continuato a lavorare con l’Ucraina “indipendentemente dal risultato”, l’elezione di Zelensky è destinata ad avere conseguenze significativetanto per l’UE nel suo complesso quanto per i singoli Stati membri.
Innanzitutto c’è in ballo il proseguimento delle riforme economiche e politiche caldeggiate da UE e FMI. L’analista Serhiy Fursa, ha rilevato che i mercati generalmente percepiscono Zelensky in maniera positiva, dal momento che il comico non sembra costituire una minaccia per l’avanzamento delle riforme, osteggiate invece apertamente da Yulia Tymoshenko. Tuttavia, altri analisti vedono in Zelensky un potenziale pericolo per le riforme a causa della sua retorica anti-establishment e delle sue violente critiche rivolte all’FMI, all’UE e a quelle che lui stesso ha definito “élite europeiste” accusate di orchestrare riforme dolorose, con benefici limitati e alti costi sociali ed economici.
Il successo del programma di riforme costituisce un banco di prova per la credibilità del Partenariato Orientale (Eastern Partnership, EaP), il piano di integrazione regionale dell’UE per i suoi “vicini dell’est”. Nel 2014, dopo anni di negoziati e a seguito del cambio di regime dovuto alla rivoluzione dell’Euromaidan, l’Ucraina ha firmato un Accordo di Associazione (Association Agreement, AA) con l’UE. Diventare un vero e proprio stato membro dell’UE è un’aspirazione di ampi settori delle élite ucraine e della società civile, e queste elezioni sono state le prime nella storia dell’Ucraina in cui i candidati non hanno insistito sulla dicotomia “integrazione con la Russia vs integrazione con l’Occidente”. Oggi, l’integrazione euroatlantica è un obiettivo esplicitamente menzionato dalla Costituzione ucraina ed è stato sposato da tutti e tre i principali candidati di queste elezioni. Tuttavia, tale obiettivo è ben lungi dall’essere indiscusso: secondo un sondaggio del gruppo Rating, nel paese il sostegno all’integrazione europea non è infatti distribuito in maniera omogenea, passando dal un’accettazione superiore all’80% nelle regioni occidentali al 30% circa nelle regioni di Donetsk, Luhansk e Odessa. Inoltre, l’offerta di una membership europea non è mai stata ufficialmente portata al tavolo delle trattative tra Kiev e Bruxelles, senza contare il fatto che il cosiddetto “affaticamento da processo di allargamento”, insieme all’avanzare di sentimenti e movimenti populisti ed euroscettici in molti paesi europei, rendono questa prospettiva ancora meno realistica nel medio periodo. Già nel 2016, l’Accordo di Associazione con l’Ucraina fu respinto dagli elettori olandesi in un referendum e, per salvare quanto pattuito, i leader europei dovettero precisare che all’Ucraina non erano stati promessi né l’adesione all’UE, né aiuti militari in caso di invasione. Pertanto, la vera sfida dell’UE sarà quella di continuare a sostenere un processo di riforma in Ucraina, con un presidente più scettico rispetto a Poroshenko e senza disporre del potente incentivo della prospettiva di una futura adesione.
Infine, l’evoluzione della situazione Ucraina dal punto di vista della sicurezza ha implicazioni a lungo termine anche per l’UE e le sue relazioni con la Russia; a partire dalla crisi cominciata nel 2014, Bruxelles ha contratto in maniera considerevole suoi già complicati rapporti con Mosca e ha condizionato la sospensione delle sue sanzioni alla Russia alla piena attuazione degli accordi di Minsk. Il miglioramento delle relazioni tra Ucraina e Russia propugnato dal neo-presidente Zelensky potrebbe portare alla fine dell’impasse attuale in cui i due paesi si accusano a vicenda della mancanza di progressi nella risoluzione del conflitto. Invece, il perdurare dello status quo o, addirittura, il peggioramento delle relazioni tra Kiev e Mosca se questo non dovesse accadere non faciliterebbe certamente la normalizzazione delle relazioni fra UE e Russia.