La Commissione europea ha messo in campo un complesso meccanismo di sostegni e prestiti ai Paesi in difficoltà. E il nostro riceverà più soldi di quanti ne versa per il funzionamento dell’Unione
Quella arrivata con la proposta di Recovery Fund è “una svolta storica per la Commissione Ue”, dice Paolo Gentiloni, ospite di Radio Anch’io su RadioRai. Non era mai successo che la Commissione “decidesse di andare sui mercati”, per poi finanziare i progetti degli Stati “con sussidi o prestiti”. Aggiunge il commissario europeo all’Economia: “I Paesi frugali non hanno detto un no che abbia il sapore di una porta in faccia”. La loro posizione è quella di chi si prepara a una trattativa che, in ogni caso, si chiuderà positivamente.
Peraltro, l’articolato sistema di aiuti e prestiti che l’Europa mette in piedi avrà un effetto significativo per l’Italia, che tornerà a incassare di più dalla Ue rispetto a quanto pagherà sotto forma di contributi al bilancio comune. Vediamo perché.
Ci sono anche Mes, Sure e Bei
Il nuovo intervento da 750 miliardi appena presentato dalla Commissione europea, che si aggiunge ai 540 miliardi spalmati tra Mes, Sure e Bei già annunciati, deve esser ancora trasformato in numeri definitivi a seguito del confronto politico. Quel che è emerso fino ad ora è che – sul fronte delle erogazioni – ci saranno circa 500 miliardi in forma di trasferimenti alle capitali e 250 miliardi di prestiti, da restituire su un orizzonte lunghissimo; sul fronte del reperimento delle risorse, invece, il Next Generation EU (questo il nome finale) si finanzierà attraverso l’emissione di bond. Al suo fianco, ci sarà un potenziamento del bilancio pluriennale dell’Unione che per il periodo 2021-2027 dovrebbe esser portato a un totale di 1.100 miliardi. Per l’Italia, il conteggio dei benefici filtrato da Bruxelles è di quasi 82 miliardi di trasferimenti e oltre 90 di prestiti.
Il meccanismo delle restituzioni
Sul bilancio comune potenziato si costruirà la capacità di restituzione dei prestiti che la Commissione chiederà al mercato, su un’orizzonte a lunghissima scadenza (l’impegno è rimborsarli entro il 2058 ma non prima del 2028). Nei documenti dell’Unione si ricorda che i contributi degli Stati membri resteranno la principale fonte di finanziamento per il bilancio Ue pluriennale, ma la stazza esatta per ciascun Paese sarà definita soltanto con la chiusura delle trattative del prossimo budget. In considerazione delle difficoltà contingenti dei Tesori nazionali, in ogni caso, il piano di Von der Leyen precisa che non ci sarà un immediato bisogno di metter risorse proprie aggiuntive nel budget pluriennale e che la restituzione dei fondi avverrà soltanto dopo il 2027.
Il negoziato in corso
Secondo alcune ricostruzioni di stampa, l’Italia potrebbe tornare ad essere beneficiario netto del bilancio europeo. Fra trasferimenti ricevuti e contributo nazionale, il calcolo circolato è di un saldo positivo per 26 miliardi, che potrebbe crescere in caso di accordo su aumentare le risorse proprie dell’Unione. La carta che infatti la Commissione vuole giocare è quella di aumentare ‘l’indipendenza’ finanziaria del bilancio comune rispetto ai contributi che arrivano dalle capitali; per farlo ha indicato alcuni canali per rimpolpare le risorse proprie (digital tax o tassazione sulle emissioni, ad esempio), sulle quali serve però un accordo politico.
Come ha riassunto un report di Morgan Stanley di questa mattina, per quel che riguarda il capitolo dei trasferimenti agli Stati (gli 82 miliardi per l’Italia), saranno parte di un “debito comune europeo, che sarà da ripagare dal 2028 in avanti. Se le nuove risorse propriue comuni della Commissione non dovessero esser disponibili, significherebbe per i Paesi membri farsi carico di una contribuzione maggiore per finanziare il rimborso dei prestiti, che si tradurrebbe in una diminuzione dei benefici sul lungo termine fermo restando l’alto beneficio sul breve”.
Numeri in via di evoluzione, dunque. Nel documento di lavoro allegato alla proposta Ue gli sherpa hanno inserito una esemplificazione sull’allocazione delle risorse: prevedeva per l’Italia 153 miliardi, cifra che dovrebbe esser superata nei fatti, stando a quanto circolato successivamente al lancio del piano. Rimanendo sul documento, la simulazione prevede da parte dell’Italia una contribuzione di 96 miliardi, per un effetto netto a proprio favore di 56 miliardi. Resta poi il capitolo dei prestiti, che verrebbero restituiti in un’arco ventennale e a tassi vantaggiosi. Su questa seconda gamba del piano, che per l’Italia sarebbe ancor più grande del capitolo dei trasferimenti, si gioca un’altra fetta importante della “convenienza” del Fondo europeo.
Finora infatti l’Italia è stata un contributore netto al bilancio comune, cioè ha versato più di quanto ricevuto direttamente. Un quadro dettagliato di quanto avvenuto recentemente è fornito dalla relazione della Corte dei conti. “Le risorse destinate all’Unione rappresentano un onere, se viste nella prospettiva dei bilanci nazionali”, annotavano i magistrati contabili nella relazione sui flussi finanziari con la Ue del 2019.
“Malgrado il mero conteggio aritmetico del dare e dell’avere non esaurisca la valutazione dei benefici del progetto europeo sul piano economico complessivo, fintanto che il meccanismo di finanziamento del bilancio europeo rimarrà ancorato a fonti di derivazione diretta dai bilanci nazionali, è inevitabile che il risultato della partecipazione di ciascun Paese venga calcolato in termini di differenza tra versamenti e accrediti, così da contrapporre i Paesi “beneficiari netti” ai Paesi “contributori netti”.
I saldi netti
Per l’Italia, in questi termini il saldo è storicamente negativo: “Ammonta nell’esercizio 2018 a -6,9 miliardi, valore sensibilmente più elevato di quelli registrato nel 2017 (-4,3 miliardi), così come negli anni immediatamente precedenti”. Il valore cumulato dei saldi netti per l’Italia, nel settennio 2012-2018, “è negativo per 36,3 miliardi. In tale periodo, l’Italia ha perciò contribuito alle finanze dell’Europa con un saldo medio di 5,2 miliardi l’anno”.
[ la Repubblica ]