“Italia e Commissione europea possono trovare un accordo” per evitare la procedura sul debito tricolore. Lo affermano fonti europee parlando a Helsinki con l’Ansa. La Finlandia dal primo luglio avrà la presidenza di turno dell’Unione e dunque presiederà il vertice dei ministri delle Finanze (Ecofin) del 9 luglio durante il quale, in assenza di intese tra Roma e Bruxelles, i governi dovranno decidere una volta per tutte se lanciare la pesante infrazione sui conti italiani. E la disponibilità emersa dalla capitale scandinava, storicamente rigorista, tende a smontare la narrativa anti italiana che il governo Conte, del tutto screditato in Europa, sta iniziando a costruire per giustificare un eventuale insuccesso nella trattativa, addossando tutta la colpa a istituzioni e partner Ue. Una trattativa che secondo il governo italiano può avere ancora uno sbocco positivo, con il presidente del Consiglio che da Osaka si è detto “fiducioso che si possa arrivare a una soluzione”. Analogo ottimismo è stato espresso dal ministro dell’Economia Giovanni Tria: “Siamo fiduciosi, con Moscovici ci parliamo continuamente e la trattativa con l’Europa non è più difficile che in passato”.
Quanto emerso da Helsinki è comunque più postura politica che sostanza. Visto che le stesse fonti ricordano che l’accordo deve essere comunque trovato tra Bruxelles e Roma, e dunque le capitali non intendono immischiarsi confermando il mandato negoziale alla Commissione. E soprattutto sottolineando che “l’Italia deve dimostrare che rispetterà le regole in futuro”. E ancora, “Roma si deve rendere conto dell’enorme impatto che la sua economia ha sul resto dell’Unione”. E qui torniamo esattamente al cuore del problema.
L’Italia dal 2018 non rispetta le regole europee che impongono la riduzione del debito pubblico, norme che per il nostro Paese hanno un valore particolare. Senza interventi, infatti, il debito nel 2020 volerà alle stelle, arrivando al 135,2% del Prodotto interno lordo. Con il deficit che oltretutto sfonderà il tetto di Maastricht fino al 3,5% del reddito nazionale. Numeri che rappresentano un rischio per la tenuta dell’euro in quanto danneggiano la sostenibilità delle finanze italiane – e dunque l’impalcatura della moneta unica – sui mercati.
Già dalle settimane precedenti al 5 giugno, giorno in cui la Commissione ha proposto la procedura, Bruxelles continua a ripetere due concetti al governo: per evitare il peggio, i gialloverdi devono tappare i buchi nei conti 2018-2019 con un intervento di 9 miliardi (già frutto di un sostanziale sconto) e soprattutto devono dare garanzie credibili su come troveranno i soldi per non alzare l’Iva (23 miliardi) e finanziare la flat tax nel 2020. Nelle trattative riservate, il governo al momento ha messo sul tavolo circa 7 miliardi, anche se non tutti garantiti, rintracciati con una serie di escamotage che nasconderebbero la manovra bis che finora ha sempre (populisticamente) negato di voler mettere in campo. Se sul 2019 le distanze si sono ridotte, resta ancora una distanza siderale sul 2020: gli europei non si fidano più di una lettera firmata Conte e Tria, visto che quella di dicembre si è rivelata scritta sulla sabbia. Vogliono di più, qualcosa che impegni anche Salvini e Di Maio. E qui la trattativa è bloccata, con i vicepremier che non vogliono legarsi le mani sul futuro sempre attratti dal finanziare in deficit le loro promesse elettorali.
La prossima tappa del negoziato tra poche ore, quando a margine del G20 di Osaka il premier Conte cercherà di invocare clemenza dinnanzi a Merkel e Macron nella speranza che i due big d’Europa mettano una buona parola con Juncker. Lo stesso farà il ministro Tria con i colleghi Scholz e Le Maire. Peccato che fino ad oggi governi e istituzioni Ue sono stati del tutto compatti sul dossier Italia, tutti desiderosi di evitare la rottura con un grande paese del club ma stretti dalla necessità che Roma aiuti ad arrivare a un accordo che salvi la faccia alle regole della zona euro, specialmente agli occhi dei mercati. In caso di insuccesso nella trattativa, i governanti italiani sono pronti ad attaccare l’Europa, le sue istituzioni e i partner per scaricare su di loro le colpe del proprio fallimento. Ed ecco perché gli europei in queste ore sono cauti. Non vogliono dare la sensazione di atteggiamenti punitivi nei confronti del primo grande governo populista del Continente e cercano di restare attaccati ai numeri. Che in effetti rappresentano un rischio per la tenuta dell’eurozona.
Dopo Osaka i leader voleranno direttamente a Bruxelles per un nuovo vertice sulle nomine in calendario domenica notte. Lunedì il governo dovrebbe mettere in campo le misure chieste dall’Europa saltate ieri proprio perché non c’era una accordo con Bruxelles. Martedì la Commissione dovrà decidere se andare avanti con la richiesta di procedura o se fidarsi delle promesse italiane. Nel primo caso, l’ultima parola spetterà all’Ecofin del 9 luglio. Con la procedura, l’Italia sarà messa sotto tutela Ue per almeno 5 anni, con una serie di controlli semestrali sull’andamento dei conti e con target annuali di taglio del deficit strutturale (e di conseguenza del debito) da rispettare, fino a quando i nostri conti non saranno instradati verso un percorso di sostenibilità.
Ue, spiragli di intesa sulla procedura: “Italia e Commissione possono trovare un accordo”
ALBERTO D'ARGENIO (la Repubblica)