venerdì, 29 Novembre 2024

UN “GOVERNO PER LA RICOSTRUZIONE” È L’ULTIMA CHANCE PRIMA DELLA TROIKA…

DAGONEWS

L’incontro Renzi-Conte si è svolto in un clima glaciale. Palazzo Chigi, dépendance di Ta-Rocco Casalino, ha fatto ”filtrare” al Corriere l’aggettivo ”franco e cordiale”. Franco sicuramente, cordiale proprio no. Il premier ha detto al fiorentino fumantino di aver letto la sua lista delle doglianze nonché la lettera che ha fatto pubblicare sui giornali. Renzi gli ha illustrato a voce le richieste di Italia Viva, e al termine del monologo Conte ha replicato: ”Non posso dare una risposta immediata a tutti questi punti”.

Il senatore di Rignano sull’Arno ha sbottato: hai solo una tattica, rinviare e accentrare, accentrare e rinviare. Ma se i vecchi democristiani rinviavano sempre, almeno non accentravano tutto. Renzi ha preteso una risposta chiara e dettagliata entro il 10 gennaio, e gli ha ricordato di non essere da solo. Dietro di lui c’è una buona fetta del Pd, circa il 60%, e non solo la Base Riformista degli ex renziani Guerini, Marcucci, Lotti, Sensi. A sostenere la battaglia contro l’arroganza contiana ci sono anche Orlando, Orfini e varie truppe piddine stufe della paralisi. Mentre Franceschini fa il pesce in barile.

Sulla questione del Mes sanitario, Conte si è difeso con la solita manfrina: se per voi è un tema dirimente, serve un voto parlamentare, e se volete proprio adottarlo fareste meglio a trovare un consenso oltre il Pd, visto che tra i grillini ci sono molti che sono e resteranno testardamente contrari.

A quel punto, Renzi si è alzato per primo annunciando bruscamente che l’incontro era finito e, mentre era in piedi, ha lanciato il suo avvertimento. Sappi che se noi togliamo il disturbo – ha detto – non ci mettiamo certo in un angolo a girarci i pollici: lavorerò per creare un altro governo, e questa volta al 90% non sarai tu a guidarlo. E chi sarebbe? La risposta era contenuta nella sua ”lista”, che aveva come allegato il discorso di Mario Draghi al club del G30. ”Da lui abbiamo tutti da imparare”, ha detto oggi al Corriere.

Se Renzi va giù duro a mo’ di un caterpillar, come ieri abbiamo scritto su Dagospia, l’ottuagenario Gianni Letta lavora dietro le quinte per apparecchiare il cosiddetto “governo di ricostruzione” guidato da Draghi.

Da parte sua, l’ex presidente della BCE non muove un muscolo, non fa una telefonata né cerca di convincere nessuno: la condizione per prendersi questa rogna (che fino a pochi giorni fa escludeva categoricamente) è quella di vedersi presentata su un piatto d’argento una maggioranza ampia e garantita da un patto scritto di tutte le forze politiche (meno la destra anti-europeista di Fratelli d’Italia). Sono loro a dover andare da lui, e con un accordo blindato per la ”ricostruzione del Paese”.

Cosa è cambiato nel frattempo nella testa di Draghi, che per un anno ha rimbalzato tutti gli inviti a scendere in campo, anche da Mattarella? C’è stato il passaggio parlamentare della riforma del Mes Salva-Stati.

Le cancellerie europee, che magari non si mettono a leggere i retroscena sui giornali ma sanno fare due conti, hanno visto che il governo Conte in Parlamento non è riuscito a raggiungere il 50% +1 dei voti, neanche alla Camera dove la situazione dovrebbe essere solida. L’Italia è l’unica nell’Eurogruppo ad aver messo in dubbio il via libera alla modifica dell’ex Salva-Stati ora trasformato in salva-banche (tedesche).

Il Conte-bis non era il governo dei sogni per nessuno al di fuori dei nostri confini, ma almeno garantiva una cosa: una maggioranza eurofila e anti-sovranista. Se, oltre alle tante cose che non è in grado di fare, non porta a casa manco questo, diventa un peso e non una risorsa.

Ecco allora che da Bruxelles, Parigi e Berlino sono partite pressanti telefonate per Draghi. La preoccupazione degli alleati è a livelli di allarme rosso, la situazione va sbloccata, non si può avere l’Italia in mano a una banda di procrastinatori che balla su qualunque decisione, malgrado gli incessanti esborsi sui Btp da parte della Bce e i 209 miliardi del Recovery.

Ecco allora che Giorgetti dà quella famigerata intervista in cui sentenzia che il centrodestra attuale è “unfit” per andare a Palazzo Chigi, perché va depurato delle sue spinte anti-europeiste. Facendo intendere a Salvini che se vuole davvero puntare al governo, deve cambiare strada e ottenere il semaforo verde da Macron e Merkel. Non a caso il leader leghista a Stasera Italia, pur evitando a tutti i costi di commentare le frasi di Giorgetti, ha ammesso di essere in contatto con i governi stranieri, ”perché se uno vuole andare a Palazzo Chigi deve mantenere buoni rapporti con l’estero”.

Per l’ex Truce, dopo aver liquidato l’alleanza con Marine Le Pen e i destrorsi di AFD, inizierà un tirocinio un anno di governo di unità nazionale: è la prova d’amore richiesta dall’Europa per non restare un reietto da far “durare lo spazio di un mattino” (Carlo De Benedetti), nell’eventualità di un suo ritorno al governo.

In barba a quello che dice e scrive Travaglio, estremo difensore di Conte, e cioè che i 5 Stelle non vorrebbero mai Draghi premier, Di Maio è prontissimo ad accogliere il banchiere, a costo di spaccare il Movimento. Anche perché gli è chiaro un concetto: in Europa Draghi è visto come l’ultima chance per l’Italia, l’unico che ha le competenze e lo standing internazionale per gestire i prossimi anni di ricostruzione e debito alle stelle. L’alternativa è la troika… 

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