Cominciamo con una premessa di metodo. Se il Pil cresce più del previsto, seppur di un solo decimale, a gioirne non dovrebbe essere solo il governo – come è logico – ma anche l’opposizione e le parti sociali. Un’Italia che fosse ripiombata nella recessione non avrebbe recato vantaggio alcuno né alle ragioni del Pd, né a quelle della Confindustria e tantomeno dei sindacati. Si sarebbero solo create le condizioni per rendere ancora più fragile il nostro sistema economico e più probabile la nostra colonizzazione. Vanno dunque salutati con favore i due risultati resi noti ieri dall’Istat, il +0,2% del primo trimestre ‘19 del Pil e un aumento di 60 mila occupati concentrati per lo più nella fascia giovanile under 24. Incrociando tutti gli indicatori parziali di cui disponiamo si può dire che il contributo al rialzo della crescita sia venuto dall’industria e dall’export. I tecnici discettano anche di effetto-calendario e di corsa a ricostituire le scorte ma in questo trimestre abbiamo conosciuto il paradosso di un aumento della produzione industriale e di una diminuzione del clima di fiducia.
Non esiste una somma algebrica dei due dati ma si può pensare che il rimbalzo del primo trimestre testimoni comunque la tenuta della nostra manifattura dentro però uno scenario che potrebbe cambiare già nel secondo trimestre. Ad alimentare questo tipo di considerazioni pessimistiche concorrono oltre al ristagno della domanda interna il basso ritmo degli investimenti per la digitalizzazione, la sovracapacità di un settore-chiave come il grande commercio, le difficoltà del mondo dell’automotive a individuare tempi e modalità della transizione all’elettrico. Aggiungiamo che non si vede all’orizzonte il varo di un robusto piano di investimenti green che potrebbero quantomeno affrontare l’emergenza rifiuti di alcune grandi città. Rispetto all’importanza di queste filiere dello sviluppo possibile i contenuti del decreto Crescita appaiono deboli, più una prova di riparazione rispetto ad errori precedenti che l’assunzione di una vera strategia di rilancio. Si prenda la pur giusta reintroduzione del super-ammortamento per i nuovi macchinari: quella che manca è una ricerca conoscitiva sullo stato di attuazione del programma 4.0 senza la quale si rischia di avanzare a tentoni.
Forse ancora più sorprendente del dato del Pil è la rilevazione Istat sugli occupati arrivata, il caso vuole, 24 ore prima della festa del Primo Maggio. In valore assoluto nel mese di marzo sono cresciuti di 60 mila unità di cui 44 mila contratti a tempo indeterminato che hanno interessato quasi in toto giovani sotto i 24 anni. E’ una novità che non si registrava in questi termini da tempo e che sicuramente richiede un supplemento di indagine sulla vexata quaestio dell’efficacia della legge Dignità. Gli esperti di mercato del lavoro e gli stessi commenti dell’Istat invitano però alla cautela, non sanno se ci troviamo davanti a un trend destinato a continuare oppure a un fuoco di paglia. Di sicuro per un’evidente sfasatura temporale non c’è nessun nesso tra gli effetti dei pensionamenti anticipati di quota 100 e l’ingresso dei giovani, resta quindi irrisolto il rebus di un sistema delle imprese che comunque chiede flessibilità e di rilievi statistici che parlano, seppur a singhiozzo, di stabilizzazioni. Dovremo aspettare giugno con i dati riferiti ai trimestri per saperne di più, come lo spaccato delle varie tipologie contrattuali e i settori interessati.
Anche da parte dei sindacati arriva un richiamo alla cautela e non potrebbe essere diverso. I dati sul ricorso alla cassa integrazione sono segnalati in aumento nei primi mesi del ‘19 di ben sei punti e il quadro delle crisi aziendali aperte non induce all’ottimismo vuoi perché restano ancora in sospeso vecchie partite, vuoi perché rischiano di aprirsene delle nuove e, infine, perché è meno chiara l’indirizzo del governo in materia. In cima alle preoccupazioni sindacali ci sono – giustamente – le dinamiche di polarizzazione del lavoro che paiono allargare l’area dei cosiddetti working poors. La verità è che le differenze tra gli occupati vanno a sommarsi alla grande disuguaglianza che li separa dai disoccupati e il mix di contraddizioni che se ne ricava meriterebbe di essere contrastato da un’efficace strategia alternativa. Ma, a costo di introdurre una nota amara nelle manifestazioni del Primo Maggio, non si può dire che se ne vedano le tracce.