La riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea ci ha dato una lezione di realismo e determinazione. Realismo nell’analisi dei rischi che incombono sull’economia mondiale e che potrebbero colpire l’eurozona nei prossimi mesi: guerra dei dazi, incertezza politica in alcuni Paesi, in primis Gran Bretagna e Italia, tutti fattori che inducono gli imprenditori a ritardare o cancellare gli investimenti. Ma realismo anche nel riconoscere che per il momento questi rischi non si sono ancora materializzati, e infatti la previsione di crescita nell’eurozona per quest’anno e’ stata lievemente rivista all’insù: tutti questi rischi potrebbero anche non verificarsi. Ma soprattutto determinazione.
A fronte di chi sostiene che la Bce ha esaurito le sue munizioni e nulla potrebbe fare nel caso di una crisi, Mario Draghi è ritornato al Whatever it takes, non escludendo, se si rendesse necessario, un’ulteriore riduzione dei tassi di interesse, che già sono sotto lo zero (aggiungendo che le banche che protestano per i tassi negativi si mettano l’anima in pace) e soprattutto che il Consiglio direttivo all’unanimità non esclude — ancora, se si rendesse necessario — di riprendere gli acquisti di titoli, il cosiddetto QE. E poi l’impegno a non muovere i tassi fino all’estate del 2020 nove mesi dopo l’arrivo a Francoforte del successore di Mario Draghi. Una decisione che attenua le preoccupazioni per un cambio repentino di rotta quando verrà nominato un nuovo presidente.
Insomma, un messaggio fermo, non inutilmente allarmante, accompagnato da impegni precisi. Tutto questo aumenta o diminuisce le possibilità che nei prossimi mesi l’Italia sia colpita da una crisi finanziaria innescata dalla nostra incapacità di arrestare la crescita del debito pubblico? Quel rischio ieri la Bce lo ha un po’ ridotto. Le crisi sono sempre crisi di liquidità: sapere che la Bce continuerà a mantenere ampia liquidità nei mercati riduce la probabilità di una crisi. C’è chi pensa che questo sia un grave errore perche’ incentiva politiche dissennate, mentre per l’Italia una crisi sarebbe un evento catartico. Non è così. Innanzitutto io penso che sia molto probabile che a fronte di una crisi l’Italia oggi sceglierebbe la strada apparentemente più facile: uscire dall’euro. Una strada irreversibile, come insegna la Gran Bretagna: meglio pensarci otto volte. Il nostro Paese ha bisogno di riforme profonde e condivise altrimenti, come si è visto con la riforma Fornero, basta un cambio di governo per smontarle. Con lo spread a 700 e il default alla porta non si fanno riforme profonde. Allora meglio chiedere aiuto all’Europa, e negoziare un programma di riforme coperti dallo scudo del Fondo salva-stati. È la strada che con pazienza ha imboccato il Portogallo: grazie alle riforme negoziate con l’Europa oggi il Portogallo ha ricominciato a crescere.
Questo quadro dovrebbe indurre a riflettere, a disegnare una strategia, ciò che è impossibile fare in una campagna elettorale perenne. Diminuire la pressione fiscale è sacrosanto. Ma un taglio delle tasse, per far crescere consumi e investimenti, deve essere credibile. Tagliare le tasse in deficit crea solo l’aspettativa di un debito ancor più alto domani. In queste condizioni le famiglie risparmiano, non consumano, e le imprese certo non investono.
E poi dobbiamo evitare di farci del male da soli. L’approvazione da parte di un Parlamento incredibilmente unanime, della norma che crea i minibot ha avuto ieri due effetti. Innanzitutto ha obbligato Draghi a spiegare, davanti alle televisioni di tutto il mondo, che i minibot sono o moneta, e in questo caso sono illegali, oppure sono debito. E più tardi, quando il loro ideatore, il deputato leghista Borghi, ha detto: «Certo che sono debito, ma non contabilizzato», abbiamo servito su un piatto d’argento ad Eurostat la motivazione per far salire verso il 135% di pil il nostro debito ufficiale.