Troppe cose: diritto di parola e di critica, aborto e anticoncezionali, persino manifesti a favore di Gaza. La «baraonda» (come l’ha definita il promotore dell’evento, Luigi De Palo) che si è scatenata intorno agli Stati Generali sulla Natalità ha distolto l’attenzione sulla questione scottante del calo demografico, di cui si sarebbe dovuto discutere a Roma. Cercando di individuare, come ha raccomandato anche papa Francesco, «quelle politiche efficaci e scelte coraggiose» che consentano alle donne «di non dover scegliere tra lavoro e cura dei figli».
Il problema infatti è proprio questo. Le giovani coppie vorrebbero due figli, alcune anche tre o più. Il tasso di fertilità delle donne italiane è invece sceso all’1,18. La «glaciazione demografica» che ha colpito il nostro Paese rispecchia un serio divario tra desideri e realtà. Le difficoltà economiche sono l’ostacolo prevalente tra le coppie dove la donna resta in casa (entrate insufficienti). Le difficoltà di conciliazione, invece, ostacolano la procreazione quando la donna è occupata (troppi impegni e poco tempo). I padri italiani danno ancora scarso contributo alle incombenze di casa e di cura.
Che fare? Nel 2013, durante l’evento il Tempo delle Donne organizzato dal Corriere, chi scrive propose un’agenda di riforme intitolata Fast. In inglese, il termine vuol dire «veloce»: già allora non c’era più tempo da sprecare.
Letta come una sigla, la parola Fast indicava anche i principali ambiti su cui intervenire: Famiglie, Asili, Servizi, Tempi. In quell’anno, il tasso di fertilità era pari all’1,4. Se in dieci anni ha continuato a scendere, vuol dire che di «scelte coraggiose» ne sono state fatte ben poche e si perso altro tempo.
Una recente ricerca nata dalla collaborazione tra Fondazione Lottomatica e Percorsi di Secondo Welfare ha provato ad aggiornare l’agenda Fast. Al primo posto stanno ancora le politiche per il sostegno alle famiglie. Rispetto agli altri Paesi, la nostra spesa pro capite in quest’ ambito è ancora bassa. L’introduzione dell’assegno unico per i figli è stato un passo in avanti, ma per come è congegnato tende a scoraggiare il lavoro delle madri e non è sufficiente per incentivare le nascite. Inoltre i congedi di paternità sono troppo corti (11 giorni). L’importo delle indennità è stato elevato dal 30 all’80 % della retribuzione per i primi due mesi di congedo parentale. Per il tempo restante, il 30 % risulta troppo basso per le famiglie meno abbienti. C’è poi bisogno di più opzioni per combinare congedo e lavoro (l’esempio migliore in Europa è quello finlandese).
Veniamo agli asili nido. Il Pnrr prevede la creazione di 150.500 nuovi posti entro il 2026. Basteranno? In altri Paesi (come Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi baltici e Slovenia) l’accesso al nido è garantito dal momento in cui finisce il congedo di maternità. Altrimenti il rientro al lavoro è di fatto impossibile, a meno di non ricorrere a parenti o a soluzioni a pagamento. In Italia il numero di nuovi nati è diminuito del 32 % negli ultimi dieci anni. Eppure molti genitori non trovano ancora posto nei nidi pubblici, e le rette sono troppo elevate per le famiglie a basso reddito.
Il terzo fronte è quello dei servizi. Un’area di bisogni largamente insoddisfatti è la non autosufficienza. La disponibilità di strutture e di assistenza domiciliare serve innanzitutto agli anziani, ma allevia anche gli oneri di cura da parte dei loro figli e soprattutto di figlie e nuore, ossia donne adulte in età fertile e sempre più spesso occupate. Come ha drammaticamente dimostrato la pandemia Covid-19, i servizi di cura e assistenza alle famiglie non sono un lusso, ma un ingrediente essenziale per la resilienza socio-demografica delle nostre società.
Infine, la sfida dei tempi. I dati segnalano che vi è una marcata discrepanza tra il tempo effettivamente lavorato e quello preferito. C’è molto part-time involontario, ma anche una domanda insoddisfatta di tempo parziale, orari flessibili, lavoro agile e così via. La ricalibratura dei tempi è una condizione necessaria per rendere il lavoro più sostenibile quando arrivano i figli. Rispetto ad altri Paesi europei, la normativa italiana è ancora piuttosto rigida e il termine stesso di «flessibilità» del lavoro evoca principalmente precarietà, mentre il concetto di «lavoro sostenibile» non è ancora entrato nel linguaggio politico.
La lentezza delle riforme e l’ancor bassa consapevolezza delle sfide suggerisce oggi di integrare l’agenda Fast con un ulteriore ingrediente, che riguarda la governance. L’Olanda ha istituito nel 2022 un Comitato permanente sul mutamento demografico, che è stato indicato come benchmark dalla Ue. La Fondazione per la Natalità ha proposto la creazione di una Agenzia sulla falsariga di quella giapponese. L’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle tendenze demografiche nazionali e sui loro effetti economici e sociali (già all’esame del Senato) potrebbe essere il primo passo in questa direzione. L’importante è fare presto.
MAURIZIO FERRERA
[ CORRIERE DELLA SERA ]