sabato, 23 Novembre 2024

USA. QUANTO PESA IL RUSSIAGATE

MARIO DEL PERO (IL MATTINO)

Nel giorno in cui Donald Trump ottiene il suo primo vero successo legislativo, l’ombra del Russiagate si staglia sull’amministrazione e su alcuni dei più suoi stretti collaboratori, a partire dal genero Jared Kushner. Mentre il Senato approvava una radicale revisione della fiscalità, con forti tagli soprattutto alle aliquote sui profitti delle imprese, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Michael Flynn, confessava di aver mentito all’Fbi in merito a incontri avuti con l’ambasciatore russo durante il periodo di transizione dall’amministrazione Obama a quella Trump. Le ammissioni di Flynn, e l’evidente tentativo di patteggiamento che vi sottostà, costituiscono un chiaro salto di qualità nell’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sulle collusioni tra l’entourage di Trump e la Russia durante la campagna elettorale e nei mesi successivi. Flynn è stato uno dei consiglieri più ascoltati e influenti del Presidente; Trump si è più volte esposto a sua difesa e prima di licenziarlo ha addirittura cercato di convincere il direttore dell’Fbi, James Comey, a non procedere nelle indagini nei confronti dell’ex militare.

Nella vicenda e nell’inchiesta sembrano convergere tante dinamiche diverse: la dilettantesca spregiudicatezza di Trump e dei suoi; la reazione di un establishment di politica estera e di sicurezza che, per convenienza e convinzione, spera di poter condizionare o addirittura far cadere questa amministrazione; la pavidità di un Partito repubblicano che ha giocato col fuoco di un populismo demagogico e violento e che ora – con Trump alla Casa Bianca e una base che ancora lo sostiene e appoggia – ne è di fatto ostaggio.

Difficile immaginare che il cerchio non sia destinato a stringersi. Che le confessioni di Flynn non alimentino ancora di più la slavina partita già alcune settimane fa con l’arresto del primo manager della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort. Che, insomma, in qualche modo anche Trump non sarà infine coinvolto. Se, o meglio quando, ciò accadrà la possibilità di un impeachment si farà assai più concreta.

Due, in estrema sintesi, sono gli scenari che paiono prospettarsi. A indicarci il primo è proprio la riforma fiscale votata dal Senato e che ora andrà conciliata col testo, in parte diverso, licenziato invece dalla Camera. Una riforma, questa, radicale ed estrema nella filosofia supply side che la ispira e nelle conseguenze che presumibilmente avrà sui conti pubblici, di loro già in sofferenza, del paese. E una riforma totalmente partigiana, frutto di mediazioni tutte interne al partito repubblicano, ottenuta senza un singolo voto democratico (33 democratici su 45 votarono ad esempio per i tagli voluti da Reagan nel 1986 e 12 su 42 quelli di Bush Jr nel 2001).

Una riforma, insomma, che esprime in modo paradigmatico sia la radicalizzazione del partito repubblicano sia la polarizzazione di un sistema politico incapace di produrre moderazione e imporre compromessi. Due elementi, radicalizzazione e polarizzazione, che potrebbero proteggere Trump, come in fondo è avvenuto finora. Soprattutto se la base, militante e conservatrice, del partito continuerà a stare dalla parte del Presidente, offrendogli una sorta di polizza contro possibili defezioni e sfide (e stando alle rivelazioni Gallup il tasso di approvazione dell’operato di Trump tra i repubblicani sarebbe addirittura cresciuto dall’estate a oggi). E allora il primo scenario è quello di uno scollegamento tra le scoperte dell’inchiesta e i suoi effetti politici, che potrebbero ridursi a vedere rotolare qualche altra testa e, magari, a un Congresso che infine salva il Presidente da un impeachment di suo molto complicato da raggiungere (l’approvazione richiede infatti un voto a maggioranza semplice della Camera e uno a maggioranza qualificata di due terzi del Senato).

La seconda ipotesi, invece, è quella di una slavina capace di acquisire una forza tale da divenire irresistibile, a maggior ragione se i numeri al Congresso dovessero farsi più sfavorevoli al Presidente in conseguenza delle elezioni di mid-term del novembre prossimo. Ulteriori rivelazioni sulle collusioni con Mosca e sulle ingerenze di quest’ultima nella vita politica statunitense potrebbero generare una reazione (e una mobilitazione) non più contenibili. E allora l’impeachment potrebbe essere qualcosa di meno futuribile. Con esiti difficili però da immaginare, a partire dalla reazione del Presidente e di una base trumpiana difficilmente disposta ad accettare in silenzio un simile esito.