I notevoli progressi tecnologici con i loro immediati riflessi nell’ambito militare industriale, uniti al rapido cambiamento climatico, stanno rendendo lo scenario immobile del Mar Glaciale Artico una frontiera aperta. Qui si giocherà una delle partite decisive nello scacchiere rappresentato da Stati Uniti, Cina e Russia, alle prese con il grande gioco delle rispettive zone di influenza e “quote” di potere sulla scena mondiale.
I fronti aperti nell’Artico sono tre: l’economia, l’ambito militare e quello commerciale. Quest’ultimo ha guadagnato d’importanza con il dimezzamento della tratta Cina-Europa. Se sono 13 mila le miglia nautiche che dividono l’Europa dall’Estremo oriente via Suez, già adesso la via del Mar Glaciale Artico corre su 6 mila miglia nautiche.
I protagonisti degli altri due fronti sono invece Washington e Mosca. La più recente istallazione militare russa si trova nelle isole Zemlya ed è stata inaugurata nell’aprile del 2017 da Vladimir Putin. Dal 2012 il Cremlino sta compiendo nella regione attività “frenetiche” di rafforzamento militare e sfruttamento economico (principalmente idrocarburi, la zona è stata definita dal ministro dell’Ambiente russo “la caverna di Ali Baba”)
La domanda da porsi è come risponderanno gli Stati Uniti a una sfida frontale di questo tipo. Gli altri attori interessati e su posizioni vicine a Washington sono la Norvegia, l’Islanda, il Canada e la Danimarca, ormai titolare sempre più teorica della Groenlandia. Questa eterogenea composizione si scontra con gli interessi della sola Russia, protagonista autonoma dei suoi interessi. Se da un lato, come risposta alle politiche del Cremlino, sono state registrate solo esercitazioni militari – seppur significative – dall’altro i russi hanno riattivato nell’area in questione vecchi aeroporti e importanti basi logistiche.
La principale base statunitense nella regione è aerea e si trova a Thule in Groenlandia, a 1.500 km dal Polo Nord. Per quanto riguarda il Canada, il progetto di costruire una base strategica avanzata a sole 600 miglia dal Polo Nord nell’Isola di Cornwallis è miseramente naufragato a causa dei costi altissimi per ampliare la pista dell’aeroporto locale e costruire nuove infrastrutture mirate a rendere operativa la base. Le altre nazioni protagoniste nella regione, Danimarca e Norvegia, si limitano ad attività di esercitazioni coordinate ma senza nuove basi da contrapporre a quelle russe.
Di recente l’Artico ha avuto ripercussioni anche su un fronte più lontano: la Corea del Nord. Per la prima volta, infatti, si parla di uno svolgimento navale congiunto russo-cinese in ottica di una possibile guerra nella penisola coreana. Da parte sua, l’intenzione del presidente Usa Donald Trump di aumentare gli stanziamenti militari a un totale di 700 miliardi di dollari dovrebbe riguardare la stessa regione artica per arginare i movimenti di Pechino e Mosca, attualmente in una posizione di vantaggio rispetto all’immobilismo di Washington e Ottawa. Un’ipotesi possibile di azione equilibratrice potrebbe essere, in relazione alla base di Cornwallis, un accordo del Canada o con gli Stati Uniti o con la Danimarca per quanto riguarda l’area a Nord della Groenlandia. Una mossa che potrebbe interessare anche la Norvegia e l’Islanda.
Un altro attore nella regione è senza dubbio l’Italia. La missione scientifica della Marina militare High North 2017, conclusa nel luglio 2017, partita dalla base navale di La Spezia in direzione del Mar Glaciale Artico, ha meritato attenzione soprattutto in ambito Nato. L’obiettivo di questa azione è stata di “tutelare la sicurezza della navigazione”, ma ci sono stati risvolti geostrategici e socio-economici riguardo la possibile apertura di nuove rotte commerciali a Nord. La spedizione vedeva impegnata la nostra Marina militare con la nave Alliance che ospitava il Centro di ricerca nazionale (Cnr), l’Istituto nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (Ogs), l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) e il Centre for Maritime Research and Experimentation (Cmre).
Per quanto riguarda l’arco orientale dell’Artico, laddove Russia e Usa quasi si toccano attraverso lo Stretto di Bering, l’Alaska – 41° stato dell’Unione ed ex possedimento della Russia zarista – ha da tempo nove basi militari, tra cui spiccano l’Elmendorf come base aerea e di comando unificato per l’area e l’Eielson (altra base aerea) con funzioni di supporto alle periodiche esercitazioni denominate Bandiera rossa e sede di stoccaggio per missili intercontinentali e per quelli installabili sui sommergibili.
Per l’Artico bisogna auspicare un accordo sotto l’egida Onu per regolare in anticipo i potenziali conflitti in gestazione nell’area. Un accordo che non può arrivare nei prossimi istanti ma, allo stesso tempo, ha bisogno di essere raggiunto in tempi non biblici.