mercoledì, 27 Novembre 2024

Vi spiego chi vuole spegnere l’Ilva (e l’industria italiana). Parla Sapelli

Gianluca Zapponini [ formiche.net ]

L’economista a Formiche.net: non serve un intervento pubblico, questa Cdp non ha la giusta mission e poi vorrebbe dire mettere a rischio il risparmio postale degli italiani. I partiti dovrebbero dare vita a un gabinetto nazionale d’emergenza che individui una cordata con qualche azienda italiana dentro

C’è un motivo che più di tutti deve spingere a non far spegnere l’ex Ilva di Taranto. Come la Germania nel 1945 distrutta dalle bombe, anche la Siria un giorno avrà bisogno di acciaio a buon mercato per la sua ricostruzione. E l’Italia potrà, anzi dovrà essere tra i fornitori di prima linea. Giulio Sapelli, economista di lungo corso, la vede così. Fermare Taranto, cosa che Mittal sta già facendo per la verità, non solo vorrebbe dire toccare nell’immediato il punto più basso della nostra storia industriale, ma anche rinunciare a importanti opportunità per i prossimi decenni.

Professor Sapelli, che cosa significa per l’Italia lo stop dell’Ilva?

Un grande problema per il futuro. Nei prossimi anni occorrerà ricostruire la Mesopotamia e l’Italia avrà bisogno di un campione. L’Europa per uscire dalla deflazione secolare ha l’occasione della Siria e della sua ricostruzione. E l’Ilva potrebbe essere uno dei veicoli, visto che sarebbe l’unica grande acciaieria del Mediterraneo, con una potenza di fuoco molto alta. Dobbiamo guardare al domani, questo è il fatto.

E invece si stanno spegnendo gli altoforni. Le ragioni di certa politica hanno prevalso su quelle dell’industria?

Le ragioni di questa politica. Attenzione a non generalizzare. Oggi c’è un partito ideologico anti-industriale in Italia, nato già ai tempi di Alfonso Pecoraro Scanio ministro del’Ambiente, che aveva una visione magica dell’industria e che oggi sopravvive e che equipara il fare industria al fare del male. Poi c’è invece un altro partito che non è anti-industria e che è contrario al fatto che l’industria italiana continui ad avere un azionariato italiano. Questa lotta è tutta interna al capitalismo e alla borghesia. E ho l’impressione che il partito che non vuole l’industria italiana in mani italiane sia molto forte.

Dunque c’è una forza  che mira a dare l’Ilva in mani straniere?

Sì, qualcuno è spaventato dalla troppa politica che c’è in Italia e allora preferisce dare i nostri asset in pasto ai tedeschi, ai francesi, persino ai cinesi.

E quale partito ha vinto oggi?

Quello anti-industria, quello che vuole distruggerla. Mittal lo ha capito e si è regolata di conseguenza. Con questa magistratura, con questo livello di presenza politica Mittal si è accorta che è troppo rischioso fare un investimento di quel calibro. Arcelor Mittal sta semplicemente seguendo i suoi interessi e si è resa conto di aver fatto un errore di valutazione e ne ha tratto le conseguenze.

Colpa di questa politica, va bene, ma poi?

Anche una scarsa conoscenza della common law o della legge 231 sulla responsabilità delle aziende. Se un operaio muore, è una tragedia, ma non si sequestra l’altoforno per questo, semmai si fa una multa all’azienda. Non si può bloccare la produzione per questo. Quando un investitore vede questo, come si fa a fidarsi di un Paese?

Non ci stiamo dimenticando dei diecimila e passa lavoratori che rischiano il posto?

Sono le vere vittime in questo disastro. Mi preme sottolineare una cosa. In queste settimane drammatiche i sindacati si sono comportati in maniera molto responsabile e questo è lodevole. Cgil, Cisl e Uil hanno mostrato più responsabilità dei nostri ministri. L’Ilva è il punto finale di una magistratura che ha agito in modo discutibile e dell’assenza di una politica industriale seria. Siamo al punto più basso della nostra storia industriale.

Ma c’è una via di uscita?

Non credo. L’unica che vedo è basata sul metodo Wimbledon, quello inglese, secondo il quale qualsiasi azionariato ci sia la cosa importante è mantenere l’occupazione sul territorio. Io non sono un nazionalista da questo punto di vista e dunque respingo l’idea di una soluzione pubblica ma spero in una cordata semi-italiana, magari con aziende come Arvedi, che fa dell’ottima siderurgia e qualche industria straniera. Purché si mantenga l’occupazione e porti innovazione all’Ilva, che ne ha bisogno.

Dunque l’ipotesi di un intervento della Cdp non è consigliabile…

Per carità! Abbiamo semmai bisogno di un comitato di salvezza nazionale, con tutti partiti dentro, affinché facciano una cosa: piuttosto che chiamare Cassa depositi e prestiti che, non dimentichiamolo, gestisce il nostro risparmio postale, ed esporlo a questo rischio sarebbe un errore, chiamiamo degli imprenditori capaci. Sono convinto che li troveremmo. Con questa Cdp che non funziona come quella tedesca meglio non agire sull’Ilva. Vorrebbe dire buttare soldi.


Gianluca Zapponini
[ formiche.net ]