Vincent Lambert, il quarantaduenne tetraplegico divenuto simbolo in Francia della lotta per il fine vita, è morto all’ospedale di Reims, dove era ricoverato. In verità non è morto, lo hanno lasciato morire. Dopo l’ultima decisione della Corte di Cassazione francese i medici gli avevano sospeso cure e alimentazione. In pratica, una sentenza dell’Alta Corte ha spezzato il filo della vita di Vincent. Le toghe supreme di Quai de l’Horloge si sono sostituiti alle Parche. Se le parole, i fatti, gli atti hanno un senso, si deve parlare di eutanasia di Stato, di una vera e propria esecuzione su ordine dei giudici. Ed è come se la ghigliottina (una ghigliottina moderna, camuffata dai macchinari per l’alimentazione e l’idratazione) fosse tornata a calare in Francia per eseguire l’ultima sentenza capitale della sua storia.
I genitori di Vincent, il dottor Jean Lambert, medico in pensione novantenne, e sua moglie Viviane, 73 anni, avevano condotto una strenua battaglia legale per impedire che al figlio fossero interrotte cure e alimentazione. E’ una lunga ed estenuante vicenda giudiziaria quella che ruota intorno al caso di questo infermiere psichiatrico che aveva perso l’uso del corpo ma era rimasto semicosciente, in un letto d’ospedale, circondato dalle cure dei sanitari e dei familiari.Una sentenza dei giudici d’appello francesi aveva accolto il loro ricorso contro il verdetto del Consiglio di Stato del 20 maggio scorso e aveva stabilito che l’uomo doveva continuare a essere alimentato e idratato.
Ma successivamente la Corte di Cassazione aveva cancellato la decisione precedente e dato il via libera alla sospensione delle cure. Anche il ricorso dei genitori alla Corte europea dei diritti umani per mantenere in vita Vincent era stato rigettato. Parere diverso aveva invece espresso il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle persone disabili, chiedendo alla Francia di non avviare le procedure per condurre Vincent alla morte, in modo da poter esaminare il caso. La Corte Suprema aveva stabilito in modo inappellabile per la morte dell’uomo.
Da lunedì scorso Jean e Viviane si erano di fatto arresi, definendo ormai “inevitabile” la scomparsa di Vincent. La maggior parte degli altri familiari, a partire dalla moglie Rachel, erano invece schierati per l’arresto delle terapie.
Come detto nel 2008 un incidente in moto lo aveva reso tetraplegico. Da allora, secondo alcuni medici si trovava in stato vegetativo cronico, secondo altri in uno stato di coscienza, anche se minima. L’uomo non poteva comunicare, ma respirava in modo autonomo, deglutiva, il suo cuore batteva in modo regolare, senza l’aiuto di macchinari. Non era un malato in fin di vita, come aveva ripetuto il dottor Xavier Ducrocq, medico consulente dei genitori di Lambert. In un’intervista al settimanale francese La vie aveva dichiarato che l’infermiere è in uno stato di disabilità molto grave, ma «non è un vegetale». Ma per le toghe francesi il suo stato era sufficiente per definirlo un cadavere vivente.
Un precedente pericoloso che rovescia il valore delle cure sanitarie e introduce la cultura della morte nelle persone considerati “scarti della società”, come ha detto più di una volta papa Francesco. Il caso di Vincent è sempre stato molto a cuore per il pontefice, che è tornato a a rivolgere il suo pensiero all’infermiere francese in un tweet: «Preghiamo per quanti vivono in stato di grave infermità. Custodiamo sempre la vita, dono di Dio, dall’inizio alla fine naturale. Non cediamo alla cultura dello scarto».
Per il momento quella cultura ha trionfato su una vita umana, sui suoi affetti, sul dolore e l’amore infinito della sua famiglia.